Mark Rothko, No. 61 (Rust and Blue) (1953)1

I rapporti tra pittura e cinematografia sono stati oggetto di attente e valide analisi. Quel che a prima vista sembrerebbe più difficile da rinvenire – ad esempio connessioni con l’arte astratta, ha dato luogo a vere e proprie sorprese critiche, come l’analogia tra alcune scene di un film come Deserto rosso di Antonioni, con l’opera astratta di Mark Rothko. Sembrerebbe impossibile, eppure l’intimismo mitico-cabalistico di Rothko ben si apparenta e commenta l’esistenzialismo malinconico del regista italiano. Anzi, si deserto rossopotrebbe affermare addirittura il contrario, che l’ambiente e le atmosfere di Deserto rosso facciano proprio lo spiritualismo di Rothko, riportando l’oggettività espressionista inseguita con l’astratto a una condizione più quotidiana, on the road: dal tempio delle “strisce di colore” in dinamico equilibrio, all’angoscia dell’individuo che quell’equilibrio vede in se stesso vacillante.

 

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Forse esiste un rapporto ancor più stretto tra le due arti, se consideriamo l’immagine in quanto rappresentante il pensiero dell’individuo.

La situazione storica può aiutarci a chiarire alcune caratteristiche di quel che, commentando l’arte di Pollock, si è chiamato “gesto”. Se questo fu un approdo personale, originale, decisivo, non per questo non è possibile trovarne anticipi e verificarne l’urgenza, anche nel periodo che precedette.

les-caves-du-vatican-261527Sugli anticipi, più che le strette parentele, con alcune “colate” di Moreau, che conferiscono dimensione di “atto” all’informale di Turner, è la letteratura a definire con precisione la circostanza estetica e spirituale. Ci riferiamo a quelle Segrete del Vaticano di Gide che orientano narrazione e riflessione proprio sul tema del “gesto”, un gesto di cui Gide insegue la non motivazione, l’assenza di causalità. Nonostante i temi di forte polemica culturale e sociale, il gesto di Lafcadio di gettare giù dal treno il fervente cattolico Amédée è del tutto privo di motivazione, impulsivo se non reattivo. Non si era mai dato qualcosa del genere in precedenza. Facile vedere come Gide colga alla perfezione una problematica culturale propria dell’inizio del Novecento, che dà corpo alla domanda sulla possibilità del soggetto nel contesto storico.

pollresultshitchcock[1]Su queste premesse sorgerà l’Ulisse di Joyce, monumento dell’individuo che si muove in forza di una coscienza alla quale passato e presente convergono attimalmente e del quale il linguaggio sarà la resa “in atto”. Di qui al noir, il passo è molto breve. Cosa di più esplicito di un colpo di pistola per cogliere o svelare il vero pensiero del “soggetto”? E non a caso proprio la cinematografia di Hitchcock è stata spesso chiamata in causa – oltre alla fotografia “dinamica” di quegli anni – come preludio e ispirazione per l’action di Jackson Pollock.

 

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L’Action Painting per riflettere la realtà sociale? Il “gesto” era in qualche modo sul mercato in quegli anni. Già Gertrude Stein in un suo racconto, “Innamorarsi ai grandi magazzini” , rivendicava un pensiero che si liberasse dei cosiddetti “stili di vita”: uggiosi e coercitivi. Che Jackson Pollock abbia “ricevuto” l’idea del gesto dalla pratica magica degli indiani osservata, come conferma il documentatissimo libro illustrato di Catherine Ingram(1), non va disgiunto dal guadagno ottenuto riportando tale pratica al proprio pensiero, facendo del gesto qualcosa di laico, di sinonimo del pensiero.

canc IMG_3245Negli anni Settanta gli elementi in gioco saranno ancora i medesimi. Il Robert De Niro di Taxi driver (1970), dopo una delusione sentimentale entra in contrasto con tutta la società, “riscattandosi” grazie a una carneficina. Alcuni fotogrammi del sangue delle vittime che cola sui muri richiamano le “colate” introdotte dall’Action Painting. Come avviene per molti remake, però, l’emblematico atto di Pollock, viene coperto da una motivazione “etica”: liberare una ragazzina dalla prostituzione.

Alla soddisfazione si sostituisce l’esigenza di riconoscimento. La pratica dell’Enviroment permise di superare i limiti fisici dell’opera, trasferendo il gesto pittorico in una vera azione drammaturgica: siamo in pittura, teatro, cinema?

7581142_orig[1]Il “rosso primordiale” di Anish Kapoor, sparato contro una superficie, più che un Leviatano sanguinante e morente fuori di noi, sembra alludere a qualcosa che è dentro di noi: traccia ingigantita di un ostacolo, non giudicato e quindi rinforzato. Così facendo non viene a ripetersi quell’assolutizzare il mondo del sogno in opposizione al principio del reale, che fece il successo del surrealismo?

Se tutto è mercato, è ancora rinvenibile in esso, oltre ai pomodori Campbell di Warhol, qualcosa che riconduca al gesto di Pollock? Un gesto che, ricondotto fedelmente all’inconscio e alle verità di questo, tale opposizione cercava di superare.

(Mario Cancelli)

 

Note:

1) Catherine Ingram, This is Pollock. Illustrazioni di Peter Arkle, 2014.