William-Congdon1[1]Il termine “Pianura” comporta molteplici significati. A sentire le celebri voci che narrarono di Lombardia, sembrerebbe che in terre ricche come queste, per il possesso delle quali si combatterono guerre di trenta, quaranta, cento anni, la monotonia come al suo opposto l’idealizzazione non siano molto apprezzate. Terre nelle quali ci si ritrova e ci si perde; attraversate da fiumi nei quali le fronde si specchiano confondendo gli abituali riferimenti di alto e basso, ben prima che a tali effetti provvedesse Cezanne; dimensione longitudinale e verticale in mutuo scambio; luoghi autosufficienti e mai autoreferenziali, mai carezzevoli un seducente e ingannevole sublime, con il cielo che si fa azzurro a tratti, come una grazia, nuovo e non immutato e statico attributo dell’universo. Queste costituirono l’approdo ultimo di Congdon, che di terre ne aveva già saggiate parecchie, e che di suo non avrebbe certo ceduto a seduzioni di lecci e marcite fangose, per lunghi mesi prima di premiarle con sodi verdi e gialli oro incastonati nel grigio di stagioni operose.

Fu quello di Congdon un atto di obbedienza: prima presso una casa di persone consacrate, poi nelle adiacenze di un monastero benedettino detto la “Cascinazza”. Ci volle tempo – testimoniato da una lunga serie di Crocefissi – per accorgersi che la “pianura” tornava a donargli quelle onde che solo il mare gli aveva offerto gratuitamente.

Se la rinascita alla pittura era avvenuta ad Assisi, ora, in Lombardia, si trattava di verificare una stabilità, favorita più da rapporti che da quelle emozioni, che fino ad allora, avevano sostanziato i resoconti del suo inquieto viaggiare, capace di estrarre dai “luoghi” occasioni d’intenso piacere pittorico, non disgiunto da eventi sentiti gravidi di futuro. Cos’era rimasto, nel “non luogo” cui si era consegnato, di quel dono che aveva passato al suo attento se non implacabile filtro mezzo mondo?

29_078.00[2]D’altronde Bill Congdon, il quale cercava nella creazione artistica quella libertà che i severi principi morali non gli consentivano, mai mentì a se stesso, assestandosi su una produzione di maniera, spiritualmente atteggiata. Non ne era capace; i quadri o “nascevano” o morivano. Di lui può dirsi veramente quel che si sostiene di quasi tutti i protagonisti dell’Action painting, che la pittura fosse il vero test del suo pensiero.

Con il titolo “Pianura”, Casa Testori – partendo dal rapporto che legò per un certo periodo l’artista al critico Giovanni Testori – offre il resoconto di quest’ultima fase della produzione di Congdon. Sul complesso dialogo insorto tra queste due personalità, promettiamo d’intervenire in un’ulteriore occasione, così da non perdere la copiosa possibilità di conseguenze che se ne possono ricavare. Qui cerchiamo di cogliere la logica di questa ricca selezione di opere che Davide Dall’Ombra e Francesco Gesti, hanno selezionato. Un taglio netto, il loro, il cui preludio è il bellissimo Colosseo (Rome – Colosseum 2, post 1951), con i suoi petali di case dorate sospese sugli archi dell’abisso.

235_501.00[1]Proprio nelle prime sale, si rimane colpiti dal vigore con il quale William Congdon ha onorato e celebrato tali pianure. Si è quasi invasi da un vento di materia e di colore, ben allogati e solidi negli spazi, una “longobardica” irruenza e libertà che il gesto ritrova dopo anni, e in maniera quasi ineguagliata, anche al confronto di celebri cantori di queste terre. Quasi un immenso polmone a pieno regime riabilitasse l’ossigeno di terreni coltivati, fossi, cieli, albe, lune. Ed assieme a loro le memorie delle città del passato, un tempo colate di neri tralicci ora terra rossa lavorata, trame di vita che si compie. Materia è memoria, direbbe Bergson, ma stiamo attenti a queste analogie: perché qualcosa di nuovo e di decisivo sembra compiersi. In questi episodi, che è inutile descrivere, sembra venire meno la storica “distanza” cui la pittura, di tradizione contemplativa, ha confinato il paesaggio.

Nel ritmo di queste lunghe giornate – Congdon si alzava prestissimo – sembra consumarsi il Romanticismo. Congdon non ci convoca ad immersioni annichilenti nella natura, né erige siepi a fare ostacolo a vaghi spazi infiniti o meglio “indefiniti”, consolatori e sempre sostitutivi di occultate istanze.

78867[1]La natura o meglio la realtà è in queste tele a noi prossima. L’io è tornato in grado di riceverla e di restituirla. Un rapporto, quello che Congdon istituisce per lunghi anni con le cose, che vorremmo chiamare “giuridico” e non causato, il cui modello è proprio il bambino, capace di lasciarsi soll-eccitare da ciò da cui riceve beneficio, e cui risponde.

Questo differenzia la pittura di Congdon da quella di Morlotti, forse anche più attento nell’esaltare le possibilità offerte dalla natura, ri-costituita nel suo inesauribile patrimonio di sostanza e di colore. In Congdon non agisce l’identificazione o annullamento estatico con le cose. Non Spinoza: l’“io parla”, perché in rapporto o perché di questo sente l’urgenza. Nessun pascolismo, per quanto alcune sue lune sembrino evocarlo.

 

Mario Cancelli (1. continua)

 

William Congdon, Pianura
Casa Testori – L.go Angelo Testori 13, Novate Milanese
Fino al 14 febbraio 2016
Dal martedì al venerdì 10-18, il sabato e la domenica 14-20. Chiuso il lunedì
Biglietto d’ingresso: € 5

Informazioni: info@casatestori.it | www.casatestori.it
tel. + 39 02.36589697