BURRI sparaA distanza di tre giorni, proponiamo la seconda puntata dell’articolato contributo critico di Mario Cancelli su Alberto Burri, a conclusione della grande mostra newyorkese al Museo Guggenheim.

Burri solitario

A Maurizio Calvesi dobbiamo il gustoso esercizio di definire una mappa, che leghi gli artisti italiani del dopoguerra ai loro ipotetici partner politici. Dove lo mettiamo il nostro tra i Morandi, i Guttuso, e tutti gli altri? Da nessuna parte. Un impolitico, per usare il termine di Bataille; non perché il “nero” dell’ex camicia nera si fosse stinto col tempo (il nero avanza col tempo fino a dilagare), ma perché la camicia nera era oramai sempre più stretta e consunta.

alberto_burri_6-fdd24fa227Vista dai vincitori, vista dai perdenti, la conclusione è la medesima: trattasi non di un dramma del potere ma del suo contrario, dell’impotenza. La stessa storia dell’arte americana successiva ci parla di quest’abdicare: il gesto era ormai articolo esaurito su quel mercato. Esiste un piano Marshall per l’inconscio? Quei sacchi che gli americani inviarono in Italia dopo la fine della guerra, non divennero mai simbolo di povertà: l’eleganza con la quale Burri li trattava, parla di una ricchezza non riconducibile a cause esterne. “Sfruttare il caso con sapiente controllo”: questo assioma di Burri non è il segnale che nel linguaggio, se “qualcosa avviene”, è questo il vero capitale iniziale?

combustione plastica 70033282-CAB1-11Due letture

La critica fini con l’arrendersi a una vicenda scandalosa ma ineluttabile.

Flavio Caroli distinse gli sforzi interpretativi in due campi: la lettura “formalista” di Calvesi e quella che apriva sia pure con incertezza all’inconscio, grazie al recupero dei collages cubisti (2). Possiamo chiederci se l’ombra dell’inconscio gravi sul suo cantico di lacerti e tessuti slabbrati rimasti sul catafalco di una grazia irremovibile. Quelle cuciture in bella mostra tra i nobili stracci però non cucivano ormai nulla, erano residui di suture ormai inutili in se stesse.

boscoViene da pensare a Heine, al suo rifiuto di una poesia che metta “filosofiche pezze all’universo”: Burri compie qualcosa di simile? Sacchi e cuciture non sono nemmeno simboli, ma offerte di grate memorie, confronti impliciti e deliberata polemica con la pittura contemporanea, persa secondo Burri fra cerebrali astrattismi e grossolano realismo politico. Non ci si è accorti che il supertecnolgico Burri, l’oggettuale Burri, ripete in fondo l’operazione pascoliana, cioè la consacrazione poetica delle piccole semplici cose. Gli enormi sacchi con la loro bellezza di materia e di manufatto rappresentano una sorta di myricae made in USA.

Metafora e memoria dell’atto

slide_432494_5630802_free[1]Dai “Cretti” – bianchi come saline, neri come crateri – alle “Combustioni”, abbiamo davanti sempre un teatro, ma con qualcosa del laboratorio di analisi chimica. Un convitato di pietra, un opaco nero (a volte un rosso anche lui opaco e immemore di sé) come un oppositivo supporto minaccia di trascinare giù tutto il sipario.

È un barocco scientifico, in cui la carne si fa metafora in modo analogo a quello di un reagente iniettato nelle vene, nel quale tutte le metafore stanno sospese, tra recitato e biopsia. Ferite sì, ma per nulla metafisiche, come invece quelle di Fontana, che assurgono, come gli insuperati “Cretti”, a strozzate metafore della modernità: terre solo apparentemente desolate, dove è ancora intatto il piacere della sabbia, del gesso.

19-Ex-Seccatoi[1]Nell’ex Essiccatoio di Città di Castello, dalle pareti nere, Burri creò l’ambiente per i “Cicli”. Uno spazio mistico, come fu per la Cappella Rothko, un tempio della forma per un moderno faraone? No: in queste superfici, sempre più opache, nell’apoteosi della forma, Burri dà forse luogo a un atto che recupera qualcosa di originario.

Guggenheim-Burri-rosso-gobboAssistiamo a una Bisanzio della memoria, dove una foglia d’oro fluttua fra le tonalità dei grigi e dei neri, sostenuta e condotta da geometrie che sembrano assecondate presenze. Ridotte le materie al livello zero della natura, è come se il teatro (anche i sacchi erano stati teatro) non avesse più ragione di sussistere. Nella nuova, ultima spazialità, la questione si gioca tra materia levigata e materia che diviene eritematosa.

catrameÈ possibile dire allora che questo esito aureo, recupero di una qualche dimensione ctonia, su cui cade come foglia l’oro stesso, sia memoria di qualcosa di arcaico, di originario? Il “buco nero” non è meno nero, anzi ora è invasivo, ma chi lo vede più in questa sorta di paesaggio astratto, che ricorda l’anamnesi dell’io, di ogni io?

alberto_burri_vert_5-4aeed504b6Avviene ora ciò che aveva richiesto così lunga desiderante preparazione, cioè il riemergere, il porsi di qualcosa che è originario di ogni vita. Il recupero di una materia arcaica significa la memoria di un atto primario, l’eccitamento che dà la madre al bambino?

Se sì, avremmo una Bisanzio del principio del piacere, quotidiana e gloriosa, altrimenti un nuovo capitolo del tiro al bersaglio sulla “sagoma dell’arte”.

Note:

2) F. Caroli, Burri: la forma e l’informe, Mazzotta, 1979

 

Burri: The Trauma of Painting
09/10/2015 – 06/01/2016
Solomon R. Guggenheim Museum di New York
www.guggenheim.org

 

(Mario Cancelli – 2. fine)