20150928_134729Non solo un’emergenza ma un fenomeno di lungo periodo, da governare con saggezza, senza allarmismi o in modo emotivo. Poche persone hanno uno sguardo così globale sul fenomeno migrazioni come monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra. Ecco cosa ha detto al proposito lunedì 28 settembre a Padova, nella sala dello Studio Teologico, alla Basilica del Santo. Una relazione la sua che può essere considerata, oltre che una delle più equilibrate prese di posizione sul tema, anche una delle più significative espressioni della Chiesa sull’argomento, in piena consonanza con i richiami che papa Francesco ha lanciato nel suo recente viaggio a Cuba e negli Usa. Vi proponiamo la sua relazione (i grassetti sono nostri).

 

Silvano Maria Tomasi, Masse in movimento. Migranti e rifugiati una sfida per l’Europa

 

20150928_1227431. Quando emigravano gli Italiani a milioni alla fine dell’800 e all’inizio del ’900 c’erano paesi di partenza e paesi di arrivo. Oggi ogni paese è origine, transito e destinazione di gente in movimento. Il fenomeno della mobilità umana non solo è globale ma costituisce una vera emergenza umana e politica per l’Europa in particolare. La luce rossa d’allarme sono i 3.000 migranti annegati da gennaio ad oggi nel Mediterraneo assieme al loro sogno di una vita più decente e sicura.
Papa Francesco ha espresso la costernazione che suscita la sofferenza delle vittime dell’emigrazione nella sua omelia a Lampedusa nel 2013:
“Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza…
Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! …
Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”
Le statistiche ufficiali danno la dimensione del problema, ma non possiamo dimenticare che dietro ai numeri ci sono donne, bambini, uomini con aspirazioni e speranze come le nostre.
Nel 2014 erano quasi 60 milioni le persone forzatamente sradicate dalle loro case e dalle loro terre, 38 milioni sfollati all’interno del proprio paese e 19,5 milioni di rifugiati in altre nazioni. Richiesero la status di rifugiato 1,7 milioni mentre 105.000 furono reinsediati in altri paesi. Si tratta del numero più elevato di rifugiati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, tutte vittime di disastri umani e naturali costrette a intraprendere la strada dell’esilio e ad adattarsi a un nuovo ambiente. La povertà, la ricerca di lavoro, il desiderio di migliorare la propria condizione di vita hanno spinto un numero ben più elevato di persone ad emigrare. Con 247 milioni di migranti internazionali e 740 milioni di migranti interni risulta che una persona su sette è un migrante. La regione con più migranti è l’Europa con 72 milioni seguita dall’Asia con 71 e dal Nord America con 53 milioni. Le previsioni sono che il flusso di arrivi continuerà. L’agenzia Frontex stima a 500.000 il numero di arrivi irregolari nei primi otto mesi dell’anno. L’Ufficio Federale per le Migrazioni e i Rifugiato prevede che più di 400.000 richieste di asilo saranno inoltrate per la fine dell’anno. Secondo l’OECD circa 700.000 richieste di asilo sono state registrate quest’anno nei Paesi Membri e si prevede che il numero salirà ad 1 milione per la fine del 2015. Nel 2014 arrivarono in Europa via mare 219.000 persone, metà delle quali sono migranti e non rifugiati. Se pensiamo che la Turchia ospita 1,8 milioni di rifugiati, l’Europa non ha una crisi di numeri. Nel 2015 la maggior parte degli arrivi sono stati in Grecia e la via dei Balcani è diventata l’opzione scelta. La crisi è di responsabilità, di politica e di valori come la solidarietà.
I chilometri di gente in marcia nei Balcani e ai confini dell’Austria, dell’Ungheria, diretti in Germania, non sono una novità. Qualcuno ricorderà che nel 1956 220.000 Ungheresi arrivarono in Austria in tre settimane. La fine della guerra in Vietnam nel 1975 causò l’esodo di più di un milione di rifugiati, “boat people” e Vietnamiti costretti all’esilio per altre vie, come i campi di rifugiati in Cambogia e Thailandia. Milioni di rifugiati africani furono causati dalla guerra civile in Mozambico e dai conflitti armati in Congo. Nuovi “boat people” sono i Royngias che ancora non trovano accoglienza. Ieri ed oggi, le cause di tanta sofferenza sono le stesse: guerra, estrema povertà, politiche di oppressione, discriminazione, corruzione, tirannia.
Già Leone XIII nella sua grande enciclica sociale Rerum Novarum scriveva che nessuno lascerebbe la propria patria se avesse lì una vita degna. Le varie ondate di rifugiati che si ripetono con ritmo troppo regolare nel corso della storia perseguono il sogno di una vita migliore e per questo rischiano tutto, i pericoli del viaggio e le condizioni di lavoro. La comunità internazionale si trova di fronte ad alcune nuove categorie di migranti bisognosi di protezione: minori non accompagnati alle frontiere del Messico e degli Stati Uniti in particolare, lavoratori stranieri nei Paesi del Golfo, immigrati indocumentati o in posizione irregolare, rifugiati per cause climatiche.
Pur mantenendo le dovute distinzioni giuridiche tra rifugiati e altre categorie di migranti, in pratica si mescolano motivi e aspirazioni e il mondo deve prendere coscienza di questa vasta realtà della mobilità umana.

20150928_1312282. La risposta agli esodi enormi che arrivano ad ondate quasi regolari è stata caotica, emotiva e nello spirito del momento. Spesso prende visibilità la paura del cambio culturale, di infiltrazione di terroristi, della riduzione dei benefici sociali se devono essere estesi anche ai nuovi arrivati. Perciò il primo passo da fare è di dar priorità ad un’informazione corretta che non c’è né invasione né improvvisa trasformazione della società. A lungo andare, è ben documentato che le migrazioni sono un beneficio sia ai migranti che ai paesi di partenza e di arrivo. È anche nel proprio interesse mantenere il cuore aperto alla solidarietà per rendere possibile l’azione politica e sociale necessarie per un’accoglienza ordinata e generosa. I nuovi arrivati che bussano per entrare nel mercato del lavoro sono per lo più giovani che contribuiranno sia economicamente che demograficamente alla stabilità delle società europee. Tale accoglienza è necessaria specialmente per i rifugiati e le persone a rischio perché eliminare il sottosviluppo e mettere fine alle guerre richiedono tempi lunghi pur sapendo che solo agendo sulle cause alla radice delle migrazioni si può trovare una soluzione corretta.
Inoltre una più sistematica riflessione è necessaria per quanto riguarda le strutture internazionali di governance. Attualmente ci sono due agenzie intergovernative che hanno un ruolo specifico per la mobilità umana, l’Alto Commissario per i Rifugiati dell’ONU (CNUR) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Ma varie altre agenzie onusiane hanno parte di responsabilità in questo campo e il coordinamento è difficile e inefficiente. Alcuni propongono che per rimediare questo doppia misura di avere delle agenzie specifiche per la grandi questioni globali come il commercio (WTO), il lavoro (ILO), i diritti umani (HCR), la salute (WHO), ma non per i movimenti di persone, si debba consolidare la galassia di enti che si occupano di migrazione in tutte le sue forme in una sola organizzazione inclusiva, con precise linee di governo, che lavora in stretto contatto con gli Stati, le ONG e il settore privato. Questo nuovo ente ingloberebbe due dipartimenti separati ma interconnessi per i rifugiati e per le altre categorie di gente in movimento e dovrebbe essere provveduto delle risorse finanziarie necessarie. Questa proposta rimedierebbe il caos e la lentezza attuali nel rispondere ai bisogni dei richiedenti asilo, lentezza causata dal fatto che i responsabili politici non pensano a lungo termine e spesso accettano una cultura di individualismo radicale che blocca ogni azione comunitaria e la visione del bene comune.
Altre risposte immediate che allevierebbero la crisi attuale implicano la creazione di canali legali di movimento che eviterebbero che i richiedenti asilo cadano nelle reti dei trafficanti di carne umana e che rischino la vita cercando di raggiungere l’Europa con barche e gommoni fatiscenti. Nei paesi di transito come nei campi profughi si potrebbero aprire o rafforzare centri di esame delle domande di asilo. I Paesi Europei possono rivedere e aumentare la loro capacità di ricevere un numero adeguato di richiedenti asilo senza una realistica possibilità di ritorno alle loro case. Per le comunità di accoglienza come per i nuovi arrivati è utile una formazione esplicita alla cultura dell’incontro.
Mentre circolano nell’UE tutte queste proposte di risposta, la volontà politica di attuarle non è chiara. I discorsi ufficiali presentano una faccia della medaglia che è più aperta ad accogliere, in pratica c’è più reticenza. Molto chiaro è stato Papa Francesco:
“Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci Chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta…
Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto… incominciando dalla mia diocesi di Roma.”

 

20150928_1253313. Come deve rispondere un cristiano a questa crisi dal costo umano inaccettabile? L’indicazione del Papa di una solidarietà concreta è una via. Almeno in teoria c’è accordo che anzitutto si devono salvare vite umane, alleviare la sofferenza e sostenere la giustizia nei riguardi di questi milioni di vittime. La dottrina sociale della Chiesa dà poi una guida che deve ispirare l’azione. Parte dalla uguale dignità di ogni persona al punto che Gesù si identifica con lo straniero, senza alcuna qualifica di colore, etnia, religione o stato sociale, come il Vangelo di Matteo testimonia: Ero straniero e mi avete accolto (25,35), un’affermazione che si ricollega alla creazione quando siamo stati fatti ad immagine di Dio. La dignità comune ad ogni persona diventa un legame che costituisce la famiglia umana in cui dipendiamo gli uni dagli altri. Le frontiere arrivano dopo per cui la solidarietà e la ricerca del bene comune hanno precedenza. L’amore di Dio e l’amore del prossimo non sono limitati da confini geografici o di altra natura. Se c’è una precedenza da dare, è l’opzione per i poveri. La parabola del buon Samaritano ci ricorda che vero prossimo è colui che avuto misericordia. (Luca, 10,30-¬34). L’insegnamento biblico e la dottrina sociale della Chiesa passano dall’accoglienza all’integrazione tenendo conto che il bene comune si applica ai richiedenti asilo come alla comunità di accoglienza. Il Catechismo della chiesa Cattolica ci dice:
“2241 Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l’ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono.
Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri.”
La questione dell’integrazione dei nuovi arrivati viene sommersa nelle discussioni e polemiche sull’accoglienza, su quanti devono essere accettati, come distribuire con quote giuste i continui arrivi. Se c’è un piano di integrazione, diventa più facile per l’opinione pubblica accettare i nuovi arrivi. Confrontati con l’inevitabile pluralismo delle società europee come conseguenza dell’evoluzione culturale, del soggettivismo ad oltranza, dell’arrivo di popolazioni con religione e cultura diverse, si pone la domanda di quali valori comuni abbiamo bisogno per vivere in pace e costruire un futuro comune. Una funzionalità economica non mi pare sufficiente. Certo l’apprendimento dell’italiano, l’accesso alla scuola, utilizzo delle qualifiche dei migranti, assistenza per problemi di salute sono provvedimenti necessari. Occorre però un minimo di valori per convivere serenamente: separazione di religione e politica, accettazione della libertà individuale, del pluralismo sociale, della democrazia, dell’uguaglianza della donna. E’ un cammino che esige tempo, ma che non può essere sottovalutato o messo da parte.

 

20150928_1312334. In conclusione, stiamo affrontando un’immigrazione senza precedenti. Per i suoi costi umani, la diversità delle nazionalità di origine, dei motivi per emigrare. La spinta a partire è complessa e non c’è molta speranza che la situazione cambi presto. La volontà politica di portare la pace nel Medio Oriente e di affrontare il terrorismo in Nord Africa e altrove per ora non conclude in decisioni positive. Il nostro dovere di accogliere rimane la speranza delle masse di gente in cammino sulle strade dell’Europa alla ricerca di sicurezza e futuro.
Padova, lunedì 28 settembre 2015