Papa Francesco, quando era cardinale, scrisse la prefazione de “Il tempo della Chiesa secondo Agostino”, il libro che raccoglie gli incontri dell’Associazione Rosmini sull’attualità di sant’Agostino che vedevano come relatore don Giacomo Tantardini.
A distanza di anni il Papa non si è dimenticato di quegli incontri, anzi il 22 dicembre scorso papa Francesco (è nel video linkato dopo il minuto 2) ha ricordato in diretta video ai suoi interlocutori riuniti nell’aula magna dell’Università di Padova, che quel luogo ospitava le lezioni agostiniane organizzate dalla nostra associazione.
Ora nell’ultimo libro di Massimo Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, emergono nuovi dettagli dell’interesse di papa Francesco per i nostri convegni. Riportiamo dalle pp. 279-280:
«In una lettera degli inizi del 2007, indirizzata al vaticanista del Tg2 Lucio Brunelli, che gli aveva inviato una recensione del volume di don Giacomo Tantardini, “Il cuore e la grazia in sant’Agostino. Distinzione e corrispondenza” (Città Nuova, Roma 2006), Bergoglio scrive:
“In questo pensiero lineare non c’è posto per la delectatio e la dilectio, non c’è posto per lo stupore. Ed è così perché il pensiero lineare procede nella direzione contraria alla grazia. La grazia si riceve, è puro dono; il pensiero lineare si vede in obbligo di dare, di possedere. Non può aprirsi al dono, si muove unicamente a livello di possesso. La delectatio e la dilectio e lo stupore non si possono possedere: si ricevono, semplicemente. […] L’essenza manichea del fariseo non lascia nessuna fessura perché vi possa entrare la grazia; basta a se stesso, è autosufficiente, ha un pensiero lineare. Il pubblicano, al contrario, ha un pensiero tensionante che si apre al dono della grazia, possiede una coscienza che non è sufficiente ma profondamente mendicante”.
Sollecitato dalla recensione di Brunelli, il cardinale scriverà, a sua volta, la prefazione ad un nuovo volume di Tantardini su Agostino: “Il tempo della Chiesa secondo Agostino” (Città Nuova, Roma 2010). In essa commentava la descrizione che Agostino faceva dell’incontro tra Gesù e Zaccheo.
“L’immagine per me più suggestiva di come si diventa cristiani, così come emerge in questo libro, è il modo in cui Agostino racconta e commenta l’incontro di Gesù con Zaccheo (pp. 279-281). Zaccheo è piccolo, e vuole vedere il Signore che passa, e allora si arrampica sul sicomoro. Racconta Agostino: «Et vidit Dominus ipsum Zacchaeum. Visus est, et vidit / E il Signore guardò proprio Zaccheo. Zaccheo fu guardato, e allora vide». Colpisce, questo triplice vedere: quello di Zaccheo, quello di Gesù e poi ancora quello di Zaccheo, dopo essere stato guardato dal Signore. «Lo avrebbe visto passare anche se Gesù non avesse alzato gli occhi», commenta don Giacomo, «ma non sarebbe stato un incontro. Avrebbe magari soddisfatto quel minimo di curiosità buona per cui era salito sull’albero, ma non sarebbe stato un incontro» (p. 281). Qui sta il punto: alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo.
Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo. Se non si dà questo incontro, non siamo salvi. Possiamo fare discorsi sulla salvezza. Inventare sistemi teologici rassicuranti, che trasformano Dio in un notaio e il suo amore gratuito in un atto dovuto a cui Lui sarebbe costretto dalla sua natura. Ma non entriamo mai nel popolo di Dio. Invece, quando guardi il Signore e ti accorgi con gratitudine che Lo guardi perché Lui ti sta guardando, vanno via tutti i pregiudizi intellettuali, quell’elitismo dello spirito che è proprio di intellettuali senza talento ed è eticismo senza bontà”».
(M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book 2017, pp. 279 – 280).