Venerdì 18 novembre “Verso il referendum”, con Morrone e Antonini

morrone-antoniniIl 4 dicembre saremo chiamati a pronunciarci con un referendum sulla riforma della Costituzione approvata dal Parlamento. Il dibattito sulla riforma però in questi mesi è stato appesantito da forzature e strumentalizzazioni, che hanno condotto le formazioni politiche a una forte polarizzazione e a trasformare il referendum in un test sull’attuale governo e sul premier in particolare. A questo si aggiunga la sempre crescente disaffezione, carica di sfiducia e risentimento, alla partecipazione politica.

È possibile, in questo contesto, approssimarsi alla data del 4 dicembre evitando sia la logica di schieramento sia l’indifferenza? Due posizioni che ci appaiono umanamente e politicamente aride e improduttive, se non addirittura dannose, anche per chi le sostiene.

Per rispondere a questa domanda l’Associazione culturale Antonio Rosmini propone l’incontro

161118-locandina-referendumVERSO IL REFERENDUM
Il nostro contributo al bene comune

venerdì 18 novembre, ore 21.00
cinema Rex - Padova

via Sant’Osvaldo, 2

Intervengono:

Luca ANTONINI
ordinario di Diritto costituzionale - Università di Padova

Andrea MORRONE
ordinario di Diritto costituzionale - Università di Bologna

 

Scarica la locandina dell’incontro.

 

«Il modo in cui l’Associazione Rosmini intende intervenire su questa vicenda», è il commento del presidente dell’Associazione Andrea Pin, «vuole innanzitutto preservare e trasmettere un’evidenza: il bene stesso del vivere insieme e di accettare l’altro. Un referendum è una straordinaria opportunità di dialogo ma cova anche un rischio: pone le persone di fronte a un Sì o un No. Istituisce un’alternativa secca, favorendo lo scontro e la contrapposizione su argomenti che hanno a che fare con la natura stessa della convivenza sociale».

Per questo la Rosmini ha scelto di invitare due costituzionalisti con una caratteristica particolare: «sono profondamente amici e tra loro vige una particolare stima», spiega Pin, «ciascuno di essi ha preso posizione, ma non ha rinunciato al legame con l’altro; entrambi hanno deciso di esporsi in prima persona, senza rinunciare ad ascoltarsi e a scorgere nell’altro un contributo per il bene di tutti».

Non sarà una serata con due protagonisti soltanto. Proponiamo a chiunque lo desideri di inviarci una domanda o una riflessione da sottoporre ai due esperti quella sera, scrivendo all’indirizzo mail info@rosminipadova.it. L’Associazione raccoglierà le sollecitazioni e tenterà di farne sintesi per sottoporle ai relatori in anticipo.

Luca Antonini è professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Padova. È avvocato e patrocinatore in Cassazione. È uno dei principali estensori della legge delega in materia di federalismo fiscale (L. n. 42/2009) e dei suoi decreti di attuazione e dal 2009 è presidente della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Nel 2004 è stato chiamato a valutare come esperto costituzionalista la bozza di riforma costituzionale e nominato componente della Commissione per il riordino della legislazione in materia ambientale. È presidente dell’International Center for Subsidiarity and Development e membro dell’Agenzia per le Onlus.

Andrea Morrone, già presidente del Comitato referendario contro il Porcellum, è nato a Ronciglione (VT) il 31 maggio 1970, è professore ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, Direttore del Dottorato di ricerca in “Stato, persona e servizi negli ordinamenti europeo e internazionale” istituito presso la medesima Università, è socio dell’Associazione italiana dei costituzionalisti.

Leggi l’intervento sul referendum del presidente dell’Associazione Rosmini Andrea Pin

Scarica il documento di Comunione e Liberazione sul referendum “Per recuperare il senso del vivere insieme”

 

Ufficio stampa: Eugenio Andreatta 329-9540695 eugenio.andreatta@gmail.com


Il referendum? Una straordinaria opportunità di dialogo

andrea-pinReferendum costituzionale del 4 dicembre: una straordinaria opportunità di dialogo. E d’altra parte, anche un rischio: porre le persone di fronte a un Sì o un No, un’alternativa secca, favorendo lo scontro e la contrapposizione su argomenti che hanno a che fare con la natura stessa della convivenza sociale. Pubblichiamo un intervento del nostro presidente Andrea Pin.

 

Il 4 dicembre. Se c’è una cosa su cui i sostenitori del Sì e del No al referendum sono d’accordo, è che ciò su cui gli italiani si esprimeranno quel giorno ha a che fare con preoccupazioni fondamentali per il Paese e per il significato stesso della convivenza umana. È qualcosa che tocca il cuore delle istituzioni e impone una riflessione sui loro fondamenti: sulla loro democraticità, sull’efficacia della loro azione, sul rispetto della sussidiarietà. È naturale che l’Associazione Rosmini si coinvolga direttamente, avendo dedicato tanto della propria storia ad approfondire e valorizzare ciascuno di questi aspetti.

Il modo in cui l’Associazione intende farlo non è un particolare, ma esprime il nucleo stesso della Rosmini e il significato della sua azione. Nelle tante e ammirevoli iniziative di dibattito, che mostrano la vitalità, non solo della passione politica, ma la stoffa stessa della società italiana e la serietà con la quale è capace di mettersi in gioco, all’Associazione preme innanzitutto preservare e trasmettere un’evidenza: il bene stesso del vivere insieme e di accettare l’altro. Un referendum è una straordinaria opportunità di dialogo ma cova anche un rischio: pone le persone di fronte a un Sì o un No. Istituisce un’alternativa secca, favorendo lo scontro e la contrapposizione su argomenti che hanno a che fare con la natura stessa della convivenza sociale.

Per questo l’Associazione ha organizzato per il 18 novembre alle 21.00, un evento che vuole estirpare questa logica. Abbiamo invitato due docenti di diritto costituzionale chiaramente collocati: il prof. Andrea Morrone (ordinario nell’Università di Bologna) è a favore della riforma; il prof. Luca Antonini (ordinario nell’Università di Padova) è contrario. Li abbiamo scelti per un particolare non irrilevante: essi sono profondamente amici e tra loro vige una particolare stima.

Ciascuno di essi ha preso posizione, ma non ha rinunciato al legame con l’altro; anzi, proprio per una tensione all’altro entrambi hanno deciso di esporsi in prima persona, ma senza rinunciare ad ascoltarsi e a scorgere nell’altro un contributo per il bene di tutti. E il 5 dicembre, a urne chiuse, sarà possibile ripartire solo con la consapevolezza di un bene comune, di cui nessuno ha il monopolio e che trascende la dialettica politica.

Desideriamo incontrarli per farci contagiare dalla loro reciproca simpatia. Per questo non chiederemo loro semplicemente di esporre le ragioni del Sì o del No. Li interrogheremo invece innanzitutto sul rapporto che essi intravedono tra la riforma e quei tre principi fondamentali di democrazia, efficacia e sussidiarietà di cui abbiamo tanta cura e che cosa ciascuno di essi scorga di buono nella posizione dell’altro. Che vincano i Sì o i No, il 5 novembre democrazia, efficienza e sussidiarietà rimarranno vitali per il nostro Paese, così come la disponibilità ad imparare dall’altro e a mettersi in discussione.

Non sarà una serata con due protagonisti soltanto. Desideriamo che ciascuno abbia la possibilità di mettersi in gioco. Per questo proponiamo a chiunque lo desideri di inviarci una domanda o una riflessione da sottoporre ai due esperti quella sera, scrivendo all’indirizzo mail info@rosminipadova.it entro l’11 novembre. L’Associazione raccoglierà le sollecitazioni e tenterà di farne sintesi per sottoporle ai relatori in anticipo.

Nel frattempo, suggeriamo a tutti l’approfondimento sulla riforma costituzionale curato dalla Fondazione per la sussidiarietà, cui hanno partecipato esperti di diversa estrazione e opinione.

 

Andrea Pin, presidente Associazione culturale Rosmini


Nel cuore dell’America, venerdì 4 novembre incontro con Riro Maniscalco

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Maurizio “Riro” Maniscalco è in Italia in queste settimane per presentare il suo libro “God Bless America” (SEF, 2016). Il libro è una raccolta di articoli, pensieri e riflessioni di 22 anni di vita americana pubblicati sul giornale on line “IlSussidiario.net” da parte di un acuto osservatore che legge tutto partendo dalla sua esperienza personale, l’esperienza di un immigrato che con la sua famiglia vuole farsi americano con gli americani “vagliando tutto” e trattenendo il valore di ciò che nel tempo è andato scoprendo.

La testimonianza di Riro, a pochi giorni dalle più insolite e anche preoccupanti elezioni presidenziali Usa, è una grande occasione di riflessione sull’attuale momento storico insieme ad un testimone d’eccezione che ha scelto di vivere e raccontare l’America.

161104-god-bless-america-page-001L’Associazione culturale Rosmini è lieta di presentare

NEL CUORE DELL’AMERICA

venerdì 4 novembre 2016, ore 21.00

Centro universitario padovano

via Zabarella, 82 – Padova

 

Alla vigilia delle Presidenziali Usa, incontro con

Maurizio MANISCALCO

Autore di “God Bless America

Società Editrice Fiorentina

 

info@rosminipadova.it

 

Musicista e giornalista, Maurizio Riro Maniscalco dirige una scuola di American English a New York City. “Finto musicista” (cantante, polistrumentista, un amore infinito per il blues), ha inciso tre albums con la Bay Ridge Band e due con Jonathan Fields («Blues and Mercy», 2006, e «Sketches of You», 2010 – Itaca Dischi). Giornalista a tempo perso, è anche “finto scrittore”. Per la Società Editrice Fiorentina ha pubblicato «Mi mancano solo le Hawaii. Appunti di vita e di viaggio di un italiano trapiantato in America» (2008), «Dal Ponte all’Infinito. The Way of the Cross over the Brooklyn Bridge» (2009) e «Musica, parole e storie. Ovvero: come si diventa un vero finto musicista» (2011). Per Itaca ha collaborato alla realizzazione di tre volumi della collana «Educare con la Musica». L’autore nel web: Blues and Mercy. È Chairman del New York Encounter (www.newyorkencounter.org), un grande evento culturale che si svolge ogni anno in gennaio a Manhattan.

Il libro

Nessuno ha più voglia o sa raccontarci l’America quotidiana, quella dal basso che esiste ancora al di là delle facili etichettature: i pochi grandi inviati rimasti ci parlano più che altro di Wall Street, Capitol Hill e Casa Bianca. L’America degli immigrati messicani e sudamericani che vogliono fare fortuna, l’America del profondo Sud e dei telepredicatori, l’America delle periferie delle grandi metropoli sulle coste e il Mid West, il granaio d’America che oggi vede scomparire le famiglie di contadini su cui si è costruito questo paese, con le loro torte di mele e il “fried chicken”, il pollo fritto. L’America delle profonde esperienze religiose e quella degli immensi college dove si concentra la vita giovanile.

Per sentire parlare di questo mondo affascinante e contraddittorio ci affidiamo allora a “inviati speciali” come Riro Maniscalco che a un certo punto della sua vita lascia l’Italia e si trasferisce qui (...) e grazie alla sua curiosità profonda si immerge completamente in questo “nuovo mondo”.

(...) E se si comincia a leggere il primo racconto c’è il rischio di non interrompere la lettura e di leggerlo di un fiato fino alla fine.

(dalla Prefazione di Giorgio Vittadini)

 

Quattro dei miei ventidue anni di vita in America. Sì, quello che è raccolto in questo libro è il racconto fatto ad amici cari, lettori sconosciuti e anzitutto a me stesso di quel che mi son visto capitare attorno in questi ultimi anni. E di quel che sono riuscito a capirci!

Della mia scoperta dell’America avevo già scritto. Qui troverete quello che la mia vita da americano mi è andata proponendo quotidianamente: cose belle, cose brutte, cose strane, a volte drammatiche. Cose accadute: quattro anni di vita, con tutti gli scossoni, pensieri, ripensamenti e un continuo paragone col mio cuore. Un cuore e due patrie!

(Riro Maniscalco)


Sabato 22 ottobre a Padova “Suor Liduina Story”

liduinaIl Comitato “Beata Liduina Meneguzzi” propone per sabato 22 ottobre alle ore 20.45 nella Chiesa delle Suore Salesie in corso Vittorio Emanuele II, 172, l’evento

Suor Liduina Story

Musica e parole in onore della beata Liduina Meneguzzi.

Lo scopo della serata è ricordare la beata Liduina Meneguzzi con un bassorilievo artistico nell’Ospedale Giustinianeo, proprio perché prima di partire per l’Etiopia, dove morì a 40 anni, frequentò questo ospedale per acquisire i rudimenti dell’arte infermieristica. Suor Liduina è stata innalzata agli onori degli altari da papa Giovanni Paolo II il 20 ottobre 2002.

La sua figura e la sua vita saranno raccontate con parole e musica da alcuni giornalisti e accademici e dai “Vasa Cantorum”, con le voci di Clemens Babetto, Ilaria de Santis, Martina Micaglio, Roberto Simonetto, Raffaella Zago, ospite d’onore la soprano Stefania Miotto.

Il bassorilievo verrà posizionato su una delle pareti esterne del Chiostro del Giustinianeo, in accordo con la direzione e dopo l’approvazione della Sovraintendenza alle Belle Arti.

 

La biografia di suor Liduina sul sito del Vaticano bit.ly/suorLiduina 


Sabato 29 ottobre la presentazione dei cd di Walter Gatti e Michele Gazich

gg-locandinaUn giornalista e critico musicale con la passione del rock e sangue sudista nelle vene. Un violinista di casa negli Usa, dove frequenta i migliori palcoscenici nordamericani, chiamato dai folksinger da New York alla California. L’Associazione culturale Antonio Rosmini è lieta di presentare

sabato 29 ottobre alle 21.00
Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, Padova
via Cesare Battisti, 245

GATTI / GAZICH
faccia a faccia

Un viaggio dagli Appennini al blues

Presentazione Live dei CD “Southland” e “La Via del Sale”
Ingresso: 15€ - Soci Rosmini: 10€

Evento realizzato in collaborazione con Gelateria Giotto dal Carcere di Padova.

Informazioni: mob - 349.5480909 / info@rosminipadova.it / southland.vg@gmail.com

 

Leggi la recensione di “Southland” su Tracce.it di mercoledì 12 ottobre

Leggi la presentazione di “La via del mare” su IlSussidiario.net di venerdì 7 ottobre

 

south3WALTER GATTI, lodigiano trapiantato a Padova, giornalista di musica e di multimedia, ha lavorato a «Il Sabato», «King» e con le testate di Class editori, oltre ad aver collaborato con «Panorama», RadioRai, «Vogue», «Sette» del «Corriere della Sera», «Il Blues». Si occupa di musica da sempre, adora il rock sudista, il gospel e il blues, suona con emotiva partecipazione una Telecaster del 1976. Ha lavorato con Eros Ramazzotti, è tra i fondatori del Centro internazionale della Canzone d’autore dell’Università di Bologna (promosso da Davide Rondoni e Lucio Dalla). Ha pubblicato vari saggi. Il suo blog musicale è www.risonanza.net. Il suo primo cd, “Southland”, sarà disponibile su Amazon e sulle piattaforme digitali dal 10 novembre.

copertina900x1MICHELE GAZICH è musicista, produttore artistico, autore, compositore. Dopo numerose collaborazioni con artisti italiani (tra cui Massimo Bubola), si è fatto apprezzare anche fuori dal nostro paese con ripetuti tour in USA ed Europa a partire dagli anni Novanta, legando il suo lavoro al mondo dei songwriters: da Michelle Shocked a Mary Gauthier, da Eric Andersen a Mark Olson. Il suo sito è www.michelegazich.it. Il suo ultimo cd “La via del sale” è uscito ufficialmente il 29 settembre su etichetta fonoBisanzio con distribuzione IRD.

 


Odilon Redon Il sogno di Calibano

Che sorpresa i Simbolisti italiani. Riflessioni postume intorno alla mostra milanese sul Simbolismo (2)

Odilon Redon Il sogno di Calibanodi Mario Cancelli. A proposito della mostra milanese sul Simbolismo, si diceva della fatalità del bivio ma anche questo sembra insufficiente. Perché se il simbolismo ritrova la vicenda dove il romanticismo l’aveva lasciata, individuando la possibilità di un nuovo coniugio tra natura e pensiero, l’urgenza del simbolismo sembra volatizzare anche questa possibilità.

Per riconoscerla occorre chiudere infatti all’orizzonte del mito, e aprire alle istanze dell’inconscio.

Quando ciò avviene, l’arte abbandona l’orizzonte del simbolico (ben poco eloquente) e ritrova una nuova libertà espressiva. Si cerca allora allora il “gesto” e con esso i modi dell’inconscio, modi nei quali il pensiero del soggetto è agito e non solo rappresentato.[1] I due surrealismi succedutisi dicono di questa metamorfosi del simbolo nell’inconscio ed è nella correttezza o meno della lettura dell’inconscio (contrario al pensiero o capace di dirsi sua vicenda, del pensiero) che si gioca la partita.

Quanto le polveri della mostra siano rimaste bagnate lo dimostra paradossalmente il recupero del cosiddetto simbolismo italiano. L’unico simbolista in Italia fu quel Pascoli, quasi refrattario all’influenza di Baudelaire. Un senso inattaccabile del reale sembra vaccinare gli artisti italiani, i quali non cessano di trarre da essa la loro ispirazione: la sala splendida dedicata a Sartorio ci consegna il senso di una “grande bellezza” che non annoia.

***

Eppure la mostra ha proposto anche cose egregie: “Il sogno di Calibano” di Odilon Redon, che lega Shakespeare alla cultura pittorica eletta, riconducendo simboli, presenze aliene o biologiche a un tessuto narrativo di fiaba, frutto della sua personale analisi.

Un piccolo quadro come questo permette di orientare le esperienze successive, le correnti e le tendenze. Redon non ci conduce all’arcaico di ritratti di famiglie rese archetipi senza vita individua, ad alberi solitari, a incroci immaginari improbabili; in uno stile ricco e privo d’indugi, dà forma e linguaggio ai fantasmi propri e di tutti. Accanto a Redon, Moreau, qui rappresentato da un pregevole dipinto: a quando però qualcuna delle sue Salomè, che regnano su pittura e letteratura?

tmp_4ddad36301ec30939da98e3092c4be971Uniche a comparire senza compromettere il gusto con un gesto più rivelatore che omicida. E poi il colore, la pennellata, la “colata” di Moreau che anticipa l’action painting.

Ne “La Speranza” di Puvis de Chavannes, l’ironia smuove i principi del paesaggio classico, cui ammicca: “La Donna” presidia lo spazio, anzi lo ostruisce, personificazione sardonica di una natura naturata, che promette senza mantenere. La soluzione del rebus non sta più nel registro contemplativo, nello straordinario concerto dai timbri bassi di verdi e bruni, ma in quell’occlusione, nel pensiero dello scacco che questa lacaniana effige incarna: una sciarada, che consegna a quel che verrà una patologia invasiva di ogni cifra stilistica.

bonazzaRiportare alla luce il simbolismo italiano è l’orgoglio della mostra: molti gli artisti finalmente visibili e le opere recuperate. Tutto parla di una capacità di difesa e di un senso di realtà quasi intaccabile.

Bonazza replica con ironia tragicomica al falso Edipo di Knopf (carezzato dalla madre fino al l’estinzione dell’umano) inventando un Orfeo di borgata, ignaro più che artefice dell’incanto operato sulle feroci leonesse. Si confronti questo pizzico di pirandellismo con l’irrepetibile Orfeo di Delville, omaggio a un dio che fu e che torna con imperturbata e irritante melanconia.

delvillePreviati, fra gli italiani forse il più implicato con il simbolismo, innalza “ali” sulle pareti, producendo materia per la scissione divisionista e affogandola in un diapason di luce e di sentimento, come nel “Chiaro di luna” che ci riporta quasi ai medioevo manzoniano, alle orazioni nevrotiche se non deliranti di Ermengarda: qui la luce si fa materia, raggi argentei che gridano le cose strappate dal buio. E infine “Le vergini stolte e le vergini fedeli”, di Sertorio, appena restaurato e che ci ricorda che il Quattrocento non passa mai. Infine un paesaggio dallo straordinario equilibrio, un idillio pucciniano che accarezza una natura tutta lombarda. Non vi dico l’autore, cercatelo nel bel catalogo che accompagna l’esposizione. Non faticherete a trovarlo in questa ricca foresta di simboli. (2. fine)

 

Si ringrazia Patrizia Pizzirani per la revisione e il contributo critico.

 

[1] La tragica fatalità del simbolo è chiarificata da S. Freud: viva ed eloquente nella dinamica onirica del soggetto, debole nell’ elaborazione formale, dove il simbolo acquisisce autonomia.


Il fuorviante Baudelaire. Riflessioni postume intorno alla mostra milanese sul Simbolismo (1)

il-simbolismo-in-mostra-a-milano1di Mario Cancelli. Queste sono riflessioni postume. Fortunatamente, non postume all’autore, ma a una mostra ormai terminata. Dal 3 febbraio al 5 giugno 2016 Milano ha dedicato al Simbolismo un’ampia antologica (curata da Fernando Mazzocca e Claudia Zevi), seducente per l’abbondanza e la novità per il pubblico italiano delle opere, con lo scopo d’invitare alla riflessione su un capitolo del secolo scorso non ancora sufficientemente chiarito. Proprio al fine di districare il ginepraio simbolista, i curatori hanno proposto come chiave interpretativa i “Fleurs du mal” di Baudelaire, quale unità di misura di tutto il movimento simbolista.

Occorre premettere che tale scelta è risultata in realtà limitante e talvolta ha rischiato di impantanare la mostra nella rete delle malie e relative aure.

Infatti, appariva come un’inconsapevole ma eloquente ironia che artisti e capolavori di mezza Europa fossero ospitati a Palazzo Reale, di fronte a quella Cattedrale, il Duomo, che del Simbolismo testimonia un’accezione “forte”. Chi vuol capire qualcosa del simbolismo medievale, deve solo entrare in quella straordinaria fabbrica e percorrerne le navate, “leggere” le vetrate che si susseguono come una “striscia” senza cesure: si sentirà incluso in questa unità, nella quale però l’individualità fatica a trovare il suo momento, pur essendo in teoria tutto edificato per lei. È proprio la scoperta dell’individualità, delle sue leggi psichiche oltre che storiche, a separarci irrimediabilmente da quel mondo: proprio la nostalgia per quel mondo portò Huysmans a individuare ombre terribili tra le colonne gotiche edificate con sublime virtù, aprendo territori che la morale non riusciva (più?) a nominare.

Á Rebours traccia autorevolmente genesi, fenomenologia e apocalisse del decadentismo e quindi del simbolismo: ma, inspiegabilmente, i curatori della mostra hanno snobbato Huysmans, lo scrittore del suo tempo a più alto tasso critico e di pensiero, il quale, non per niente, dal simbolismo seppe fuoruscire.

Dunque non c’è bisogno di richiamare l’opera di Baudelaire e poi quella dei maledetti francesi, e poi quella di Lautreamont (la principale fonte del surrealismo di Breton) e poi Odilon Redon e Felicien Rops, che trasportarono l’arte nel simbolismo più onirico e perturbante, per riconoscere che il simbolismo nasce “malato” e che il senso di questa malattia, che pervade perfino l’atto creativo, è il motivo, lo stigma del movimento.

Uno dei pregi della mostra è nell’offerta della possibilità di individuare un simbolismo che, a volte, semplicemente eredita la temperie romantica (il simbolismo è invenzione romantica) portando a estrema conflittualità le istanze ricevute.

Non poteva sopravvivere a se stesso il medievale revival dei Preraffaelliti; non sopravviverà il simbolismo cui ci riferiamo se non dopo aver consegnato la sua malferma conquista, l’inconscio, a coloro che tenteranno l’avventura del surrealismo. Al simbolo si sostituirà così l’inconscio e sulle diverse interpretazioni dell’inconscio stesso si svilupperà la storia del novecento, da Miro, a Dalì, a Ernst, all’action painting.

I curatori hanno certamente afferrato tale urgenza critica, ma proponendo Baudelaire quale pietra miliare, cui si aggiungono Nietzsche e Jung, ma senza fare chiarezza su tali apporti, hanno corso il rischio di fuorviare il giudizio.

Hodler il boscaioloBasti questo confronto: mentre al già citato Huysmans dobbiamo l’idea della rappresentazione oramai “clinica” della personalità decadente, a Baudelaire dobbiamo la fissazione dello spirito nel misticismo platonico, che apre all’io, alle sue sensazioni e analogie inconsce, per annullarlo. E in pittura avremo l’opposizione tra gli archetipi supremi da Segantini a Hodler, ai francesi, individuabili in madri perverse, oceani ghiacciati, alberi secolari, notturni cimiteriali o claustrali, comunque mistici: l’invenzione di linguaggi nuovi, compreso quell’ossessivo abitare il simbolismo di Moreau, che secerne però un gesto opaco e sintomatico.

Non basta ripetere, come nel video sornione di Philippe Daverio, che gli ultimi decenni del secolo XIX si dividono in un due versanti, quello naturalistico e quello simbolista (il mondo del sogno, dell’intimità, dell’“oltre”).

Il dualismo, il “fatale bivio”, è tutto all’interno del simbolismo.

La facilità con la quale Segantini passa dal realismo della natura al simbolismo delle Madri, dice di una medesima fonte dietro a entrambi, fonte che potremo chiamare “natura”, onnipresente e onnisciente, e che solo l’attenzione a ciò che, per comodità, chiamiamo Psiche (separata da Amore), può aggredire e superare.

La mia tesi può essere confortata da passi liberi e innovatori in quell’“oltre” a tutti i costi che si andò a confinare come un tarlo nel sentimentalismo, in un’isterica teatralità, negli spleen con i quali si patteggia con se stessi più che con la realtà.

138-von-stuck-il-peccato1Ma per offrire questo si sarebbe dovuto avere il coraggio di individuare il destino del simbolo, non più metafisico ma al massimo, psichico.

Un esempio per tutti, il capolavoro di von Stuck, dove un satanismo fuori tempo massimo fa da cornice al corpo ignudo della modella. Cosa resta di teologico, se non un’atmosfera tra il cabaret e la clinica, in questa rappresentazione del corpo certo audace, ma dove il viso appare segnato dall’alcool più che dal peccato?

Il serpente, simbolo stravecchio e defunto, fa appunto da floreale aureola a un collasso psichico più che morale. (1. continua)

 

Si ringrazia Patrizia Pizzirani per la revisione e il contributo critico.

 


Il 5 ottobre il TechSoup Tour 2016 a Padova

slideshow-padova-rshow1Dopo il grande successo dell’edizione 2015, TechSoup Italia dà nuovamente il via al TechSoup Tour 2016, dal titolo “Solidarietà digitale, ecosistema sociale”. L’iniziativa, promossa da Techsoup con il supporto di Microsoft Italia e Fondazione Cariplo, ripropone la formula del roadshow già sperimentata: 10 tappe in 10 città italiane, concentrate questa volta nel Nord Italia, per incontrare le moltissime organizzazioni Non Profit che operano sul territorio nazionale e avvicinarle al tema dell’innovazione tecnologica per il sociale.

Solidarietà digitale, ecosistema sociale - Padova

October 5, 2016 9:30am - 12:30pm

Location

Sede Banca Etica

via Tommaseo 7

Padova

Italy


Mozart, Debussy e Ravel per il concerto padovano della pianista Mikiko Koh

mikiko-koh-portraitDomenica 18 settembre alle 17.30 nella chiesa di Santa Caterina in via Cesare Battisti, 245 a Padova si terrà il concerto della pianista Mikiko Koh, con musiche di Mozart, Debussy e Ravel. L’evento è promosso dal Centro universitario di via Zabarella.

Mikiko Koh è nata in Giappone nella città di Hakodate (Hokkaido) nel 1983. Si è laureata in musica nel collegio musicale Toho Gakuen con il massimo dei voti. Tramite la Fondazione musicale Rohm viene ammessa all’unanimità al Conservatorio di PARIGI e lì si diploma nel 2008. Riceve prestigiosi premi e riconoscimenti, quali il primo premio al IV Concorso Internazionale Chopin, in Asia, nel 2003 e il premio Debussy al IV Concorso Internazionale di piano, nell’Ile-de-France nel 2008.

Ha eseguito diverse performance di musica da camera, ad esempio nel 2003 come solista al Concerto n.1 di Chopin con la Krakow State Philharmonic Orchestra. Partecipa come solista a “Les Rencontres Musicales Internationals d’Enghien” in Belgio, con interpretazione come miglior studente tra i vari provenienti da tutto il mondo.

Ha esordito a Tokyo nel 2007 come solista in musica da camera al Festival Internazionale di Mozart in Hokkaido nel 2009 e nel 2011.  Nel 2010 e nel 2011 si è esibita al Festival Internazionale d’art lyrique d’Aix-en-Provence in Francia. In Giappone viene scelta come membro della giuria al Festival Debussy 2012 dall’Associazione degli insegnanti di pianoforte. Ha affiancato diverse celebri personalità musicali come Oleg Sendetsky, primo violoncellista del Mariinsky Theatre Orchestra in Russia, o Hikaru Sato, dell’Orchestre de Paris in Francia e molti altri.

Ha perfezionato i suoi studi in pianoforte con i maestri yukio yokoyama, jacques rouvier, janusz olejniczac, e in musica da camera con alain meunier, regis pasquier, ma anche in jazz con Glenn Ferris.

Negli ultimi anni le sue attività come solista e pianista di musica da camera sono concentrate sia in Giappone che in Francia, assieme agli alunni del Conservatorio Jacob Quartet di Parigi. Oltre a queste attività insegna al Liceo musicale. Nel 2013 è uscito il suo primo CD “Brillante à la carte”.

 


Tra metallo e nerdaggine. Appunti sul genere Mecha

mecha-4di Giovanni Scarpa. Lo ammetto sin da subito: il breve articolo che segue è una scusa per parlare di un modellino. Il modellino di un robot o, per essere più precisi, di un Mecha: lo ZVB3000 di Kow Yokoiama (comunemente detto Ma.K). Come incipit direi che siamo sul nerd andante, ma era inevitabile. Perché quando alla gioia di vedere alcune riproduzioni di questo S.A.F.S (Super Armored Fighting Suit) nel web, è seguita la delusione di non trovare alcuna recensione in lingua italiana, ho deciso scrivere questi appunti.

mecha-3E non solo non ho trovato alcuna recensione dell’artista in questione o della sua opera, ma del “genere Mecha” in toto (animazione, fumetti, modellismo...). Esistono, certo, forum su forum gestiti da nerd italiani iperqualificati; ma parlano sempre di Gundam, Evangelion e tutta quella combriccola nipponica un poco chic, che mi è sempre parsa (con tutte le spade, gli spadoni, i bazooka e i bazookoni) oppressa da una sorta di horror vacui grafico (e finisco sempre a immaginare chissà quale magnifica creatura avrebbe potuto disegnare Jacovitti!!)

mecha-2Lo ZVB3000 conserva invece, per quanto mi riguarda, lo spirito stesso del genere Mecha. Un genere cioè che non cerca di aumentare la familiarità del metallo con la carne, di creare sofisticate macchine pensanti, novelli Frankenstein in lamiera. No, il fine del Mecha è dar vita a vere e proprie armature d’acciaio, esoscheletri raffinati o grezzi che fanno uso della tecnologia per proteggere l’uomo celato al loro interno. È una corazza che si deve percepire in tutta la sua massa, che dev’essere pesante, vi si devono scorgere le ammaccature (che sono cicatrici di guerra), la vernice scrostata, la ruggine.

mecha-1Lo sanno i vecchi capolavori di Armored Troopers, quelli del manga Black History (di cui ho potuto gustare per ora solo le copertine), così come quelli più moderni dell’inglese Ian McQue. Tutti quelli cioè che non hanno dimenticato le proprie origini belliche: i vecchi Tank delle guerre mondiali, l’artiglieria pesante degli incrociatori. Lo hanno un po’ capito anche i robot tamarri di Pacific Rim e (in modo discutibile) le armature di Iron Man e tanti altri che meriterebbero di essere citati.

mecha-5Ma tornando a noi, cari maschi (le femmine dubito avranno continuato a leggere dopo la terza quarta riga), andatevi a vedere che figata sono le creazioni della “Maschinen Krieger”, soprattutto quelle dipinte da Max Watanabe, colorista e modellatore. Mi sento nuovamente un po’ nerd a dirlo, e ancora di più per averlo scritto, ma sono imperdibili! E lasciandovi con un po’ di suspence, provate ad immaginare cosa succederà quando mia moglie scoprirà che sto per spendere un sacco di soldi per comprarmi un modellino superfigo-deluxe di un robotino.