In vista dell’incontro “Felici di lavorare” di Mercoledì 02 Maggio alle ore 21:00 con Mons. Filippo Santoro (per saperne di più clicca qui) riprendiamo alcuni appunti del lavoro fatto durante la 48ª Settimana Sociale dal titolo “Il Lavoro che vogliamo libero, creativo, partecipativo e solidale!”
Partiamo dall’intervento inaugurale dell’intervento di apertura di Sergio Gatti, Vicepresidente del Comitato, che introduceva dicendo: “[…] La Settimana Sociale è il luogo che produce novità. Non c’è spazio per la sfiducia, per la paura. La Settimana Sociale non è il luogo per quanti si lasciano prendere da qualche dose di cinismo e dalla tentazione di rinunciare.
Le Settimane Sociali sono nate per affrontare e possibilmente risolvere problemi, non per studiarli e basta. Le Settimane Sociali sono una forma di “Chiesa in uscita”, di “Chiesa col grembiule”. Il nostro impegno individuale è indispensabile, ma quasi mai è sufficiente per costruire cambiamento, per cambiare in meglio il lavoro che non va, per contribuire a costruire quello che non c’è, a trasformare quello fuorilegge. La dottrina sociale ha portato cambiamento. Dalla Rerum novarum alla Populorum progressio, dalla Laborem Exercens alla Laudato Si’. Puntavano al cambiamento e lo hanno generato. In modi diversi. Anche ispirando politiche economiche. I nostri cercatori di lavoro hanno trovato molte storie, gli imprenditori, i lavoratori, i professionisti, i sindaci, gli amministratori, i legislatori, gli insegnanti, i sindacalisti, i pastori. Ne è nato una sorta di “movimento”. Il “movimento” ha preso piede, è in cammino. E Cagliari è una tappa. Lungo la pista per giungere a Cagliari abbiamo incontrato tutt’altro che indifferenza. Nelle nostre giornate abbiamo incontrato il dolore, la sofferenza, la disillusione. Ma hanno prevalso i loro contrari. Se è vero che oggi dobbiamo denunciare il lavoro che non vogliamo, è ancora più vero che vogliamo soprattutto raccontare un’Italia diversa, un’Italia che probabilmente è maggioranza. La responsabilità e il coraggio dell’intrapresa e non la pigrizia comoda dell’attesa. L’adrenalina e la determinazione della sfida da vincere e non l’apatia e la mollezza degli alibi che deresponsabilizzano. […] ”
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