Incontro con Alejandro Marius, presidente di Trabajo y persona

Domenica 14 maggio ore 18,00, alle scuole Romano Bruni (via Fiorazzo 5, Ponte di Brenta)

Cosa può mai offrire un Paese con duecentomila omicidi l’anno e altrettanti emigranti su trenta milioni di abitanti, un’inflazione prevista quest’anno al 1.600 per cento (avete letto bene), che ha ridotto a due i giorni lavorativi della settimana per risparmiare elettricità, senza farina nelle panetterie e farmaci negli ospedali? Che speranza potrà nutrire un popolo governato da un autocrate capace di esautorare il Parlamento (dove teoricamente governerebbe l’opposizione), isolato la nazione dal resto del mondo e in cui le proteste di massa sono soffocate nel sangue, mentre vengono arrestati i componenti delle forze dell’ordine che non vogliono partecipare ai massacri?

Una Nazione può essere tanto stremata, eppure avere qualcosa da offrire, oltre alla più grande riserva petrolifera del mondo, resa ugualmente inservibile dal regime? Qual è la cosa migliore che ci si può attendere, se non la sua liberazione politica attraverso una sanguinosa guerra civile, peraltro già all’orizzonte?

Eppure, il suo tesoro non sembra essere metri sottoterra, ma avere braccia e gambe, idee e voce. Un volto incontrabile.

È questo il volto di Alejandro Marius. Alejandro, nato e cresciuto nel Paese che prese il nome dalla suggestione del navigatore Amerigo Vespucci, il quale trovò così somiglianti le palafitte della laguna di Maracaibo a Venezia al punto da battezzarle Veneziola, ci conduce per mano in un’altra dimensione della difficile vita venezuelana, che egli vive nella carne insieme alla famiglia. Una dimensione fatta di libertà e perdono.

In un suo recente articolo, Alejandro, presidente dell’associazione Trabajo y persona, ammette la tentazione: «di fronte al dramma che stiamo vivendo in Venezuela sembra che per alcuni il momento di perdonare non sia ora, che il fine giustichi i mezzi e che sia possibile cominciare a perdonare dopo una montagna di morti». Alejandro la vede diversamente: le proteste pacifiche sono un diritto ma devono accompagnarsi a proposte; la libertà esige la responsabilità di ricostruire insieme; la speranza ha la forma di un processo di rinnovamento, lento e faticoso.

In cosa consiste la responsabilità di chi è impotente di fronte alle vicende del suo Paese? Perché Alejandro, da cittadino qualunque, è disposto ad accollarsi le fatiche e l’impegno che spetterebbero al regime? Dove si celano la soddisfazione, la fiducia e la speranza che gli consentono la pazienza e il perdono? Queste domande non riguardano solo chi vive ad un oceano di distanza ma ciascuno di noi; allo scoprire che per la nostra città passa chi sembra averle affrontate, suscita la nostra curiosità; poterlo incontrare e udirne la voce, smuove il nostro torpore.

Siamo dunque onorati di questa visita, che restituisce alla vicenda del martoriato Paese non solo la dignità che le spetta, ma un valore paradigmatico – rende il suo Calvario qualcosa cui prestare attenzione per ragioni molto personali. Dove si cela il vero potere, in ciascuno di noi?