IMG_1012di Giovanni Scarpa. È ancora una volta il “caso” a consolidare intuizioni, svelare sottili connessioni. Perchè proprio mentre sbirciavo antiche maschere rituali (e non chiedetemi perché) mi sono imbattuto in quella della principessa Mononoke. O meglio, in una sospettosamente simile: la Mbambi mask della tribù africana dei Pembe.

IMG_1009Ora, e Jung non avrebbe avuto dubbi, ci troviamo evidentemente di fronte ad un Archetipo. Anche se il maestro giapponese non l’ha probabilmente mai vista, anche se quella di San è di donna-lupo e quella dei Pambe è la maschera dell’antilope, anche se Africa e Giappone non sono poi così vicini: è il mondo animale che qui si incarna, s’immaschera per così dire, nel legno e nella paglia. L’uomo muta, trasmuta in selvaggio, in spirito, nascondendo il viso.

Insomma, alla fine non ho potuto far altro che rivedere il capolavoro Miyazakiano cercando di convincere la mia futura moglie che stavo “studiando” e non “guardando un cartone animato”!

IMG_1011Un film nel quale mi è parso di scorgere l’eco di Kipling, delle odalische di Ingres, il grido potente della morte del Dio Nietzschiano, sottili venature cristologiche. Un film complesso certo, che prende le distanze da un manicheismo seducente ma sterile (bene-male, uomo-animale, selvaggio-civilizzato) nel quale emerge con forza la “poetica dello straniero”. Ashitaka è infatti l’unico a guardare “con occhi non velati dall’odio”, a convivere con il suo demone, con il dolore, senza lasciarsi dominare da giudizi affrettati e parziali. È il primo a partire da casa senza cercare di conquistare altro se non la Verità. E per questo forse proprio a lui capita di vedere, per primo, Mononoke senza maschera: di vedere in lei non lo spettro di un animale, ma il volto tenace e bello di una fanciulla.