Andrea_Mantegna_Crocifissione[1]di Luca Belloni.

Una figura musicale che emerge da una pulsazione profonda e inesorabile, una corona di ispide dissonanze che trafigge il tessuto sonoro rendendo ancor più inquieto l’incessante disegno degli archi. È l’inizio di una delle pagine più belle dell’intera storia della musica: la Johannespassion (Passione secondo Giovanni) BWV 245 di Johann Sebastian Bach.

In occasione del Venerdì Santo ho scelto di proporre ai lettori del blog il Coro iniziale di questa meravigliosa opera perché mi sembra che in esso si possano trovare compendiati a un tempo il sacrificio salvifico di Cristo e il suo significato umano e cosmico.

I tre livelli dell’inizio [0’00”] (la pulsazione dei bassi, la tormentata linea ondeggiante degli archi e il disegno dissonante dei legni) sono la prima rappresentazione simbolica della struttura intrinsecamente trinitaria della Passione di Gesù.

Sembra di vedere il celebre affresco di Masaccio (la Trinità, appunto) in cui il Padre (la pulsazione dei bassi) sorregge la croce, il Figlio sofferente è inchiodato al patibolo (la linea dissonante dei legni) e lo Spirito (la linea ostinata degli archi) si colloca tra i due esprimendo il rapporto di amore attivo che lega il Padre al Figlio.

La composizione procede per qualche minuto dipingendo davanti ai nostri occhi la desolata scena di dolore che sembra davvero pervadere l’intero universo. Tutto, il cosmo (pianeti, costellazioni, galassie) appare trasfigurato, quasi trafitto dall’inconcepibile fatto della sofferenza di Dio in croce.

Quando la tensione sembra farsi insostenibile, quando l’angoscia sembra toccare il culmine, una triplice invocazione del coro (“Herr” – Signore) squarcia il plumbeo orizzonte con il grido che prorompe dal cuore dell’uomo davanti al Giusto sofferente, a Cristo crocifisso [1’20”].

È ancora una volta dinnanzi al volto incarnato dell’ineffabile Mistero trinitario che ci si inchina con la drammatica invocazione corale cui segue immediatamente un lungo melisma sulle parole “unser Herrscher” (nostro Salvatore) in cui sembra racchiusa tutta la fatica, la pena, l’umiliazione cui è stato sottoposto il Redentore nelle ore precedenti la crocifissione e la morte.

Ogni nota è pesante come un macigno e la salita (lenta ma inesorabile) del coro verso l’acuto mima con crudo realismo lo sfibrante strazio della Via Crucis.

Dopo una drammatica ripresa della triplice invocazione iniziale [1’40”] e un breve intervento solo strumentale [2’13”] un nuovo episodio basato semplicemente sulle prime parole del testo viene costruito da Bach su figure musicali che sembrano altrettante fitte di dolore che si susseguono senza tregua [2’21”].

 

La sofferenza davvero prorompe da ogni lato quando il terzo ritorno del grido di apertura [2’52], nuovo simbolo trinitario (tre volte tre perorazioni corali), innesca un episodio in cui la frase “dessen Ruhm in allen Landen herrlich ist” (il Tuo nome risplende di gloria in tutto il mondo) si espande e, sulle orme del testo, invade tutto lo spazio sonoro attraverso una fittissima rete di imitazioni, quasi a simboleggiare quel “contagio osmotico” attraverso cui, da sempre, la presenza di Cristo si diffonde nel mondo.

Giunti al primo punto fermo della composizione [4’09”] ci ritroviamo immediatamente proiettati in un nuovo turbine (simile per figure musicali all’episodio che abbiamo chiamato “delle fitte di dolore”) in cui, in un serrato gioco canonico, vengono illustrati musicalmente i quattro versi seguenti (Mostraci in questa Tua Passione che Tu, il vero Figlio di Dio, per tutti i tempi, anche nella più grande umiliazione, sei stato glorificato).  Particolarmente impressionante è il passaggio in cui Bach affida per la prima volta al coro le parole “Verherrlicht worden bist.” (Sei stato glorificato).  Il tessuto musicale è pressoché identico (fuorché nella tonalità) a quello posto sulle parole “unser Herrscher” [4’59”].

La metafora è evidente: il Salvatore è glorificato nella sofferenza (non è forse per questo che la festa di Cristo Re ci presenta la regalità del Crocefisso?), nel momento della sua apparente sconfitta è celato il germe della sua imperitura vittoria.

Alla luce di questa paradossale certezza Bach ci propone un colossale “da capo” [6’50”] come per aiutarci a rileggere tutto quanto avvenuto alla luce della gloria incorruttibile del Re dell’universo che regna dal legno della Croce.

È come se ci venisse detto che il già sentito (la ripresa dei primi cinque minuti di musica è letterale), il già saputo, sono delle mere illusioni, che ogni istante nasce gravido di senso dalle mani di quel Dio che ha dato la vita per noi.  L’unico momento per vivere è l’ora e la possibilità di pienezza di ogni attimo (anche “nella più grande umiliazione”, nella più profonda pena per il male proprio e altrui) dipende dall’inconcepibile Mistero di Bellezza che ha voluto, misericorde verso la sua creatura, lasciare una traccia di sé così eloquente nella meravigliosa pagina che stiamo proponendo.

In fondo, come diceva Fogazzaro, perché siamo conquistati dall’espressione artistica del dolore se non perché in essa vediamo rispecchiata la nostra stessa mancanza, la sete inestinguibile che solo una carezza del Crocifisso può placare eternamente?

 

Testo

Herr, unser Herrscher, dessen Ruhm

In allen Landen herrlich ist!

Zeig uns durch deine Passion,

Daß du, der wahre Gottessohn,

Zu aller Zeit, auch in der größten Niedrigkeit,

Verherrlicht worden bist.

 

Signore, nostro Redentore, il tuo Nome

risplende di gloria in tutto il mondo!

Mostraci in questa Tua Passione

che, Tu il vero Figlio di Dio,

per tutti i tempi, anche nella più grande umiliazione,

sei stato glorificato.

 

(contributo apparso in precedenza su Ilsussidiario.net di venerdì 22 aprile 2011, http://bit.ly/1ZyYYsn)