Nella Passione secondo Giovanni di Bach la misteriosa gloria della croce

Andrea_Mantegna_Crocifissione[1]di Luca Belloni.

Una figura musicale che emerge da una pulsazione profonda e inesorabile, una corona di ispide dissonanze che trafigge il tessuto sonoro rendendo ancor più inquieto l’incessante disegno degli archi. È l’inizio di una delle pagine più belle dell’intera storia della musica: la Johannespassion (Passione secondo Giovanni) BWV 245 di Johann Sebastian Bach.

In occasione del Venerdì Santo ho scelto di proporre ai lettori del blog il Coro iniziale di questa meravigliosa opera perché mi sembra che in esso si possano trovare compendiati a un tempo il sacrificio salvifico di Cristo e il suo significato umano e cosmico.

I tre livelli dell’inizio [0’00”] (la pulsazione dei bassi, la tormentata linea ondeggiante degli archi e il disegno dissonante dei legni) sono la prima rappresentazione simbolica della struttura intrinsecamente trinitaria della Passione di Gesù.

Sembra di vedere il celebre affresco di Masaccio (la Trinità, appunto) in cui il Padre (la pulsazione dei bassi) sorregge la croce, il Figlio sofferente è inchiodato al patibolo (la linea dissonante dei legni) e lo Spirito (la linea ostinata degli archi) si colloca tra i due esprimendo il rapporto di amore attivo che lega il Padre al Figlio.

La composizione procede per qualche minuto dipingendo davanti ai nostri occhi la desolata scena di dolore che sembra davvero pervadere l’intero universo. Tutto, il cosmo (pianeti, costellazioni, galassie) appare trasfigurato, quasi trafitto dall’inconcepibile fatto della sofferenza di Dio in croce.

Quando la tensione sembra farsi insostenibile, quando l’angoscia sembra toccare il culmine, una triplice invocazione del coro (“Herr” - Signore) squarcia il plumbeo orizzonte con il grido che prorompe dal cuore dell’uomo davanti al Giusto sofferente, a Cristo crocifisso [1’20”].

È ancora una volta dinnanzi al volto incarnato dell’ineffabile Mistero trinitario che ci si inchina con la drammatica invocazione corale cui segue immediatamente un lungo melisma sulle parole “unser Herrscher” (nostro Salvatore) in cui sembra racchiusa tutta la fatica, la pena, l’umiliazione cui è stato sottoposto il Redentore nelle ore precedenti la crocifissione e la morte.

Ogni nota è pesante come un macigno e la salita (lenta ma inesorabile) del coro verso l’acuto mima con crudo realismo lo sfibrante strazio della Via Crucis.

Dopo una drammatica ripresa della triplice invocazione iniziale [1’40”] e un breve intervento solo strumentale [2’13”] un nuovo episodio basato semplicemente sulle prime parole del testo viene costruito da Bach su figure musicali che sembrano altrettante fitte di dolore che si susseguono senza tregua [2’21”].

 

La sofferenza davvero prorompe da ogni lato quando il terzo ritorno del grido di apertura [2’52], nuovo simbolo trinitario (tre volte tre perorazioni corali), innesca un episodio in cui la frase “dessen Ruhm in allen Landen herrlich ist” (il Tuo nome risplende di gloria in tutto il mondo) si espande e, sulle orme del testo, invade tutto lo spazio sonoro attraverso una fittissima rete di imitazioni, quasi a simboleggiare quel “contagio osmotico” attraverso cui, da sempre, la presenza di Cristo si diffonde nel mondo.

Giunti al primo punto fermo della composizione [4’09”] ci ritroviamo immediatamente proiettati in un nuovo turbine (simile per figure musicali all’episodio che abbiamo chiamato “delle fitte di dolore”) in cui, in un serrato gioco canonico, vengono illustrati musicalmente i quattro versi seguenti (Mostraci in questa Tua Passione che Tu, il vero Figlio di Dio, per tutti i tempi, anche nella più grande umiliazione, sei stato glorificato).  Particolarmente impressionante è il passaggio in cui Bach affida per la prima volta al coro le parole “Verherrlicht worden bist.” (Sei stato glorificato).  Il tessuto musicale è pressoché identico (fuorché nella tonalità) a quello posto sulle parole “unser Herrscher” [4’59”].

La metafora è evidente: il Salvatore è glorificato nella sofferenza (non è forse per questo che la festa di Cristo Re ci presenta la regalità del Crocefisso?), nel momento della sua apparente sconfitta è celato il germe della sua imperitura vittoria.

Alla luce di questa paradossale certezza Bach ci propone un colossale “da capo” [6’50”] come per aiutarci a rileggere tutto quanto avvenuto alla luce della gloria incorruttibile del Re dell’universo che regna dal legno della Croce.

È come se ci venisse detto che il già sentito (la ripresa dei primi cinque minuti di musica è letterale), il già saputo, sono delle mere illusioni, che ogni istante nasce gravido di senso dalle mani di quel Dio che ha dato la vita per noi.  L’unico momento per vivere è l’ora e la possibilità di pienezza di ogni attimo (anche “nella più grande umiliazione”, nella più profonda pena per il male proprio e altrui) dipende dall’inconcepibile Mistero di Bellezza che ha voluto, misericorde verso la sua creatura, lasciare una traccia di sé così eloquente nella meravigliosa pagina che stiamo proponendo.

In fondo, come diceva Fogazzaro, perché siamo conquistati dall’espressione artistica del dolore se non perché in essa vediamo rispecchiata la nostra stessa mancanza, la sete inestinguibile che solo una carezza del Crocifisso può placare eternamente?

 

Testo

Herr, unser Herrscher, dessen Ruhm

In allen Landen herrlich ist!

Zeig uns durch deine Passion,

Daß du, der wahre Gottessohn,

Zu aller Zeit, auch in der größten Niedrigkeit,

Verherrlicht worden bist.

 

Signore, nostro Redentore, il tuo Nome

risplende di gloria in tutto il mondo!

Mostraci in questa Tua Passione

che, Tu il vero Figlio di Dio,

per tutti i tempi, anche nella più grande umiliazione,

sei stato glorificato.

 

(contributo apparso in precedenza su Ilsussidiario.net di venerdì 22 aprile 2011, http://bit.ly/1ZyYYsn)


Pittura Museo Città, una mostra dal 1975 al 2015

artisti ieri e oggidi Mario Cancelli. Maurizio Bottarelli, Sergio Cara, Bruno de Angelis, Daniele degli Angeli, Marcello Landi, Vittorio Mascalchi, Gabriele Partisani, Giovanni Pintori, Roberto Rizzoli, Vincenzo Satta, Severino Storti Gajani, Giorgio Zucchini.

Un'opera di Sergio Cara
Un'opera di Sergio Cara

Cominciamo con i loro nomi. Un po’ come nel libro dell’Esodo o nei Guermantes di Proust. Più che per obbedienza alle sacre regole del giornalismo, per evitare quell’effetto di sospensione che spesso ci trasmettono i non meno sacri testi critici. Prima il “Chi”.

mostra5Li potete incontrare, questi artisti che qualificarono la vita culturale di Bologna in quegli anni, come ben testimoniato dal catalogo “PITTURA MUSEO CITTÀ una mostra dal 1975 al 2015”, curato da Sandro Malossini e Paolo Conti, nei bellissimi spazi espositivi della Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Viadana.

Rosso - Giorgio Zucchini
Rosso - Giorgio Zucchini

La mostra riunisce, infatti - “ricorda” pare limitativo - le vicende di alcuni giovani pittori i quali, appena diplomati nella maggior parte di loro all’Accademia delle belle Arti, altri già docenti, operarono nella città suscitando interesse proprio per il gusto appassionato della pratica del fare artistico che in quei giorni veniva messa in discussione da più aggressive e totalizzanti istanze.

Londra - Maurizio Bottarelli
Londra - Maurizio Bottarelli

Probabilmente ignorati dagli improvvisati Comitati di salute pubblica, mentre fuori dei muri del Palazzo Bentivoglio - ricorda uno di loro, Bruno de Angelis - s’alzava la cortina dei lacrimogeni e delle molotov, reduci già a vent’anni per questa loro difesa dell’arte, consapevoli di essere oramai i soli rappresentanti di sé medesimi dinanzi al tribunale dell’io (più che della storia), essi congiunsero in continui confronti con i maestri - tra i quali è giusto ricordare anche i critici Giovanni Maria Accame e Pier Giovanni Castagnoli - la febbrile attività creativa ed intense riflessioni sulla propria prassi. Si trovavano tra l’incudine di un mondo dell’arte in rapido cambiamento, che consumava ciò che era appena stato confermato e il martello dei sommari negazionismi.

Un'opera di Bruno De Angelis
Un'opera di Bruno De Angelis

Quegli anni culminarono in una mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna e nell’apertura degli studi personali, secondo un’idea di aprire l’arte alla città, che avrà successo ai nostri giorni. Da qui il titolo dell’iniziativa e del catalogo: “PITTURA MUSEO CITTÀ una situazione a Bologna”.

Senza titolo - conchiglia - Roberto Rizzoli
Senza titolo - conchiglia - Roberto Rizzoli

Non “il Palazzo” (del potere), come si dirà poi, ma un palazzo fu all’origine di questi sentieri, che oggi appaiono a volte interrotti, ma ricchi di intuizioni ancora feconde; quel Palazzo Bentivoglio che meriterebbe la penna di Bassani, eretto nel Cinquecento da un ramo collaterale della famiglia che aveva dominato Bologna, come tributo all’antico splendore del primigenio palazzo Bentivoglio, distrutto a furor di popolo.

Piccola sindone Gabriele Partisani
Piccola sindone Gabriele Partisani

La bellezza della loro storia è non solo nell’attenzione e nelle cure dei critici che operavano all’epoca - il gradevole e duttile catalogo riporta testi di Accame, Castagnoli, Trento, Cerritelli, Guberti,- quanto nella prudenza e nella quasi paterna pazienza degli stessi, che dimostravano di aver afferrato pienamente la situazione di questi artisti, loro amici e compagni, per nulla “situazionisti”. Non avevano fra le mani le pretese di un gruppo, capace di manifesti e di dottrinarie premesse e promesse, ma personalità che le foto d’epoca ci restituiscono sorridenti, fiduciose pur fra tante incertezze, di poter conseguire una meta che l’occasione di Viadana sottrae alla polvere del tempo.

Acrilico su tela - Daniele Degli Angeli
Acrilico su tela - Daniele Degli Angeli

Senza strafottenza, senza obiezione, con rispetto. Cosa c’è di più politico del proprio desiderio che non vive se non in rapporto con l’altro, del proprio impegno a trarre qualcosa da insegnamenti, stili, messaggi, tendenze? Non vediamo nulla di provinciale o di esasperatamente acceso infatti nei loro esiti: tecniche e linguaggi maturi, abilità e giovanile volontà di tentare e provocare le acquisite eredità linguistiche, quasi inesistenti i narcisismi di chi possiede oramai strumenti e li vuole ostentare.

Si resta ammirati davanti alle fredde ma liriche geometrie di Sergio Cara, di perfetta e misurata eleganza, ai cartoni tra il pop e il minimalismo di Partisani, già opere “povere” quanto a materiali eppur ricche di vivacità e prontezza. Colpisce la determinazione con la quale Bruno de Angelis conduce il suo impeto informale nelle parietali dimensioni di una superficie che, senza nulla invidiare a quelle dei canvas dell’Action painting, orchestra musicalmente neri e grigi, secondo partiture che costeggiano il minimalismo, restando ancorate a spazi, percezioni: luoghi non emotivi, ma trasposizioni della memoria e della psiche. Ai seriali ritmi astratti di Storti Gajani, pastellati, esito di grigi nebbiosi e azzurrini, che fanno pensare ancora agli ultimi naturalismi di cui parlava Arcangeli. Si va dalle textures sapienti di Landi a quelle espressionistiche e seducenti, capaci di confessione di Pintori, tentate da inserzioni alla Rauschenberg.

mostra2Tutto dice della qualità e della durezza della partita: non solo tra vecchio e nuovo, ma soprattutto tra una forma spiritualistica, non inclusiva dell’io e il tentativo di difesa dell’io stesso.

Un 'altra oepra di Zucchini
Un 'altra opera di Zucchini

Alcuni, infatti, cercano ancora la favola, il mito, il racconto, come Daniele degli Angeli, ma si tratta sempre di fedeltà senza malizia al proprio immaginario, altri, come Giorgio Zucchini, guardano con ironia, leggerezza e piacevolezza a magisteri celebri; altri infine presentano l’invasione tecnologica e cercano un equilibrio tra realtà, assicurata dai media, e poetiche psicologiche, come Roberto Rizzoli.

Tra i più maturi, quanto a età, Mascalchi oppone alberi di minacciosa espressività e rapidità esecutiva alla nuova natura di oggettive e lentissime istantanee di ambienti rurali.

mostra1Nel rigoroso, perfino univoco percorso di Vincenzo Satta, cogliamo appieno, invece, il tentativo di ascesi dell’artista: le sue “macchie” per nulla gestuali sono perfettamente controllate, i suoi calligrammi veleggiano verso una luce non naturalistica, di un’astratta e mentale purezza.

In tali gnostici chiarori si manifesta appieno l’altro polo della dialettica di questi pittori a cui si accennava prima, quello che spiritualisticamente aspira a superamento (o meglio rimozione) dell’io.

MOSTRA%20PITTURA%20MUSEO%20CITTA[1]L’esperimento del Museo Civico di Viadana ha quindi non solo un senso ma anche un risultato proficuo. Anche se le poetiche non sono più quelle, se le strade individuali sono - e in mostra già vediamo traccia e sintomi di queste necessarie aperture - , se qualcuno non è più (Mascalchi, Partisani e il critico d’arte Accame) e di altri, come per Bottarelli, si è nel tempo confermata vitalità e riconoscimento. La cura dimostrata dagli organizzatori ci porta oltre l’esito un semplice recupero, semmai verso la ritrovata consapevolezza che la “ricerca del tempo perduto” è tale solo se è ricerca della “pulsione” instauratasi allora e in fondo da nessuno di loro mai perduta. Non era proprio lei, la “pulsione” dell’io, ciò che si trovarono davanti critici e maestri così attenti a ogni piega e a ogni minima variazione, ciò di fronte a cui essi stessi non sapevano - e fortunatamente - come porsi? La loro prudenza e attenzione continua certamente in questa cura odierna e vale un viaggio sulle rive del Po.

 

Pittura Museo Città - una mostra dal 1975 al 2015
MU.VI Musei Viadana - Galleria Civica d’Arte Contemporanea
14 febbraio 2016 - 11 aprile 2016


La Rana padovana o le sorprese della Street Art.

rana padovana (1)di Giovanni Scarpa.

Mentre il mondo dei writers incontra un incredibile assenso generale (la mostra a Bologna, la più vicina esposizione di Tony Gallo allo spazio Tindaci di Padova) e affronta i primi ostacoli morali (Blu che decide di cancellare le sue opere, i graffiti di Banksy staccati dalle pareti di Londra e acquistati dai collezionisti), eccoci a presentare al pubblico una chicca patavina. Se infatti molti già conoscono il pregiato lavoro dello schivo Kenny Random, del più consueto Alessio B, della new entry Tony Gallo, o del più scialbo Red, pochi forse si sono accorti della bella “Rana padovana” (nome dato dal sottoscritto naturalmente) nata dal rana padovana (4)gruppo pseudo vandalico BeiControi Padova (BT/PD), che ha invaso il centro storico (ne ho contate quasi un centinaio) col suo tacito gracidare, e che incarna i vecchi bei valori rebel, un poco mainstream, degli artisti di strada: ribellione alle autorità civili, odio per le istituzioni e così via.

Insomma, una street art che non ha paura di sporcarsi le mani e che non cerca di tutelare se stessa.

rana padovana (3)E che egregio risultato, oserei dire: un logo sintetico, dal design minimal e simpatico: ormai quasi la cerco con lo sguardo tra le pareti dimesse e le cassette elettriche della città! Come si fa a non voler bene ad una rana così, beffarda, incurante del giudizio altrui, sempre pronta a spuntare fuori improvvisa col suo ghigno spavaldo, le sopracciglia arcuate da finta saccente. È questa la street art che mi piace: quella lasciata per strada da gente balzana che ha voglia di turbare lo status quo, quella abbandonata sui cassonetti e sui cupi viali, quella dei teppisti e dei vandali a cui nessuno bada.

rana padovanaChe sia finita l’epoca in cui il genio artistico si nascondeva sotto le mentite spoglie di un graffittaro strafatto e un poco tamarro? Che sia giunto il momento in cui i writers già cercano avvocati per legalizzare le loro illegali scorribande? Chissà. Per ora a me basta sperare di incrociare lungo la strada consueta, l’improvviso sorriso arricciato di una nuova rana o chissà quale sorpresa inaspettata.


Al Liceo scientifico Bruni il ricercatore che per primo ha osservato le onde gravitazionali

IMG_8985-kAzE-U107082386040VPD-1024x576@LaStampa.it[1]Le Scuole Romano Bruni e l’Associazione genitori propongono:

Un nuovo “senso” per la ricerca scientifica: le onde gravitazionali - incontro pubblico con il dott. Marco Drago

Sabato 2 aprile alle ore 11:30

Aula magna Polo educativo Scuole Romano Bruni, Via A. Fiorazzo 7, Ponte di Brenta

Relatore: Marco Drago, fisico dell’Università di Padova, postdoc al Max Planck Institute for Gravitational Physic di Hannover (Germania).

Drago introdurrà i concetti base per conoscere le onde gravitazionali e illustrerà come ha vissuto la loro scoperta, da scienziato ma soprattutto come uomo.

L’incontro è aperto al pubblico.

 

Ecco come Drago ha raccontato la sensazionale scoperta a La Stampa.

 

lastampa.it, venerdì 12 febbraio, int. a M. Drago “Così ho decifrato il segnale che fa la storia” (E. Perugini)

 

È un giovane italiano il ricercatore che per primo ha osservato le onde gravitazionali. Si chiama Marco Drago, ha 33 anni. Laurea a Padova, ora lavora al centro di calcolo «Atlas» del Max Planck Institute a Hannover: qui analizza alcuni dei dati in arrivo dalle due grandi antenne di «Ligo». È questo «cervello in fuga» che ha ricevuto, lo scorso 14 settembre, la mail d’«allerta» con i dati della scoperta destinata a diventare storica. «Era poco prima di pranzo, quando ho aperto la mail che il nostro sistema invia in automatico e ho visto subito che c’era qualcosa di particolarmente interessante», racconta. Era il segnale tanto atteso e adesso Drago è tra le centinaia di ricercatori che hanno firmato il fondamentale studio pubblicato ieri su «Physical Review Letters».

Quanto è emozionato? Si rende conto che con questa scoperta rischia di vincere il prossimo Nobel per la Fisica?

«Certo. Ma presumo che il Nobel andrà ai pionieri che hanno ideato gli interferometri e iniziato il progetto di costruzione».

Come si è sentito quando ha visto i dati che potevano rivelarsi decisivi?

«Non so dire se, in quel momento, fosse più forte l’entusiasmo per la scoperta o lo scetticismo. Appena ho aperto la mail ho chiamato il mio collega Gabriele Vedovato dell’Infn di Padova. Non sapevamo bene se essere felici o se essere scettici. L’unica certezza era che stavolta eravamo di fronte a qualcosa di particolare».

La caccia alle onde gravitazionali coinvolge migliaia di ricercatori nel mondo. È stato un caso se la mail è arrivata proprio a lei?

«No. E ci tengo a precisarlo. Sono stato io, con i miei colleghi di Padova, Trento e Florida, ad aver messo a punto l’algoritmo che valuta i dati raccolti dall’interferometro e decide di inviare la mail di “alert”. In altre parole siamo stati noi a creare il sistema di allarme automatico attraverso il quale l’esperimento comunica i dati che vengono registrati dagli strumenti in tempo reale».

Come funziona il sistema?

«È molto complesso e raccoglie le misurazioni effettuate dagli strumenti. Parliamo di variazioni davvero piccole, dell’ordine del milionesimo di millimetro. È per questo che dobbiamo essere estremamente precisi. Abbiamo disegnato un algoritmo in grado di rilevare segnali consistenti con possibili onde gravitazionali nel ciclo di queste misurazioni. In questo caso l’algoritmo attiva un sistema che invia in automatico una mail a un gruppo di persone: sono loro ad avere il compito di interpretare l’anomalia riscontrata dal sistema».

Allora perchè lei e il suo collega eravate scettici?

«Temevamo di essere davanti a un semplice test: sono quelli eseguiti abitualmente per verificare lo stato di efficienza degli strumenti. Ma per fortuna non era così».

E qual è stato il ruolo dell’altro esperimento, quello che si trova vicino a Pisa, vale a dire «Virgo»?

«Per essere super-precisi avremmo dovuto poter contare anche su “Virgo”, l’osservatorio pisano. Questo, però, è in fase di potenziamento e non è ancora attivo».

Ha confidato a qualcuno il segreto di questa scoperta prima dell’annuncio ufficiale?

«Non mi è stato possibile riferire nulla, perché prima della conferenza stampa ufficiale siamo stati costretti a non dire niente a nessuno. Per i miei genitori ho fatto però una piccola eccezione e, ovviamente, sono molto orgogliosi. Non so se, davvero, se ne rendano ancora conto del tutto».

Adesso che è diventato uno dei «cervelli in fuga» più famosi del mondo ritornerebbe in Italia?

«Io vorrei tornare in Italia. Sono partito all’estero un po’ per fare esperienza e un po’ perché in Italia non mi è stata data la possibilità di rimanere all’interno del campo delle onde gravitazionali. Ma mi piacerebbe ritornare nel mio Paese».


Alle Scuole Romano Bruni la testimonianza di padre Maurizio Boa

don-maurizio_def-min-424x600[1]Le Scuole Romano Bruni e l’Associazione genitori Romano Bruni propongono l’incontro con padre Maurizio Boa, giuseppino del Murialdo, missionario in Sierra Leone da 20 anni.

L’incontro si svolgerà venerdì 11 marzo alle 21 nell’Aula magna del Polo educativo Scuole Romano Bruni, in via Fiorazzo 7 a Padova (Ponte di Brenta) ed è aperto a genitori, docenti, studenti ed educatori.

Proseguendo gli incontri con testimoni della Misericordia per approfondire la proposta dell’Anno Santo, che Papa Francesco ha chiesto di vivere anche nelle scuole, dopo aver incontrato nel dicembre scorso la straordinaria esperienza dell’ex carcerato americano Joshua Stancil, gli organizzatori hanno approfittato della presenza per alcune settimane di p. Boa in Italia per farci raccontare la sua vita in Sierra Leone.

In un paese tra i più poveri del mondo, dove una terribile guerra civile che si è protratta per dieci anni e un’epidemia di Ebola fanno ancora sentire le loro conseguenze catastrofiche, padre Maurizio continua ad impastare di misericordia ed educazione la sua vita con i più poveri.

In Sierra Leone padre Maurizio ha realizzato un ospedale, il St. Joseph Community Health Center, 273 case per gli amputati, tre case famiglia, 110 pozzi. Mantiene 64 ragazzi in casa famiglia, 300 con le adozioni a distanza e molti tra i suoi ragazzi stanno frequentando l’università.


Di chi ha paura la Paura: i disegni di papà Mortensen

foto 5di Giovanni Scarpa. Divenuti ben presto un fenomeno virale (più nel web che nell’editoria), i disegni di John Kenn Mortensen hanno fatto il giro del mondo in men che non si dica e riscontrato un meritato successo. Non tanto per lo stile, memore di Edward Gorey e delle atmosfere macabre á la Tim Burton, ma per il peculiare retroscena. Il nostro infatti è un papà come gli altri e scrive nell’introduzione al piccolo volume che lo presenta: “Sono nato in foto 4Danimarca nel 1978. Scrivo e dirigo programmi per bambini, sono padre di due gemelli e non ho molo tempo per altre cose. Quando ce l’ho, disegno mostri sui post-it. È la mia finestra aperta su un altro mondo, fatto di carta per ufficio”.

foto 3Non è un lavoro il suo, ma un passatempo. Uno strano passatempo di natura catartica, apotropaica per certi versi: mostri scuri su sfondi itterici, tra noir e horror che tuttavia sembrano celare una verità straordinaria. Perché se è vero che il nostro papà-artista ama disegnare mostri, è anche vero che assieme ad essi compare spesso la figura del bambino. E la dinamica bambino-mostro, si risolve (tacitamente) in una maniera che ricorda molto il film d’animazione Monster & Co. della Pixar: foto 2è il mostro a temere i bambini, è la Paura ad avere terrore di ciò che non conosce.

Mi ha ricordato alcuni vecchi racconti su orchi spaventati e streghe terrorizzate, sullo stupore grande dei bambini che, come nei Goonies, sanno fare amicizia coi “mostri” offrendo cioccolato. È un padre buono dopotutto, questo danese, e nella sua tranquilla quotidianità, attraverso le carte giallognole del suo ufficio, ci ricorda come sia misterioso l’incontro con il terribile, come possa essere buffa la Paura. foto 1E mentre gli harrypotteriani staranno già gongolando, pensando a quanto possa essere vero un “Molliccio”, a me tornano in mente certe belle pagine dei libri di padre Gabriele Amorth, nelle quali spesso si ricorda che il Nemico ha una fifa terribile di chi (e chi più dei bambini?) è in stato di grazia.