mostra_arte_fabiolarn-640x640[1]Riprendiamo queste righe da robedachiodi, il blog di Giuseppe Frangi sul sito www.associazionetestori.it, un bilancio della mostra “Tenere vivo il fuoco – Sorprese dell’Arte Contemporanea” che all’ultimo Meeting di Rimini ha proposto un incontro con alcuni dei maggiori artisti contemporanei. A cura di Casa Testori Associazione Culturale, la mostra era opera di Davide Dall’Ombra, Luca Fiore, Giuseppe Frangi, Francesca Radaelli. Ecco la presentazione dal sito del Meeting. Per leggere il commento di Frangi nel suo blog (assieme a tutte le altre note del critico lombardo) cliccare qui.

 

Ci sono tante riflessioni che si possono fare in merito al successo davvero inatteso della mostra portata al Meeting di Rimini sull’arte contemporanea (20mila visitatori in sei giorni, cataloghi esauriti in quattro…). Provo a riassumerne alcune.

1. L’arte contemporanea si è dimostrata in grado di far breccia in un pubblico normale sostanzialmente digiuno da frequentazioni con mostre e biennali varie in parte anche più o meno prevenuto. Perché fa breccia? L’arte contemporanea ha come caratteristica quella di dover trovare sempre nuove formule per dire cose che sono molte volte cose di sempre. Ma in questo scovare formule nuove produce un effetto spiazzamento che colpisce, che sollecita emotivamente, che mette in movimento intelligenze e sensibilità. Tra i commenti, tanti, che hanno costellato la mostra, uno mi è sembrato particolarmente azzeccato: l’esperienza della mostra provocava una sorta di “decentramento” nelle persone. È quello suscitato da chi ammette di essere stato portato a vedere le cose da un punto di osservazione del tutto imprevisto, ma molto più acuto e profondo di quanto prevedessimo. Uno sguardo, quello suggerito dagli artisti, che non smantella il nostro ma lo rimette in movimento. Alla ricerca. Tener vivo il fuoco, come recitava il titolo, vuol dire proprio questo. Per tenerlo vivo non ci si può ripetere, si deve essere sempre nuovi… È il pubblico ha capito il fascino di chi si prende il rischio di inoltrarsi nel “nuovo”.

2. Se ha fatto breccia è anche grazie al dispositivo della mostra prevedeva una narrazione delle opere, che quindi invece di blindare le opere nell’enigmaticità di linguaggi critici incomprensibili, forniva delle chiavi, delle ipotesi per entrarci. Non era un dispositivo critico, quindi, ma semplicemente narrativo, che poi lasciava al visitatore la libertà di approfondire e di farsi coinvolgere.

3. L’arte è sempre stata “bene comune” anche quando principi e papi ne incameravano il meglio nei loro palazzi. Ma le chiese, le piazze hanno sempre parlato a tutti, e per tutti. Bernini ha riplasmato Roma cambiando l’immaginario della città. Michelangelo il David lo ha messo in piazza. Giotto e Masaccio erano fruibili da tutti. Ora non si vede perché nel nostro tempo, che vorrebbe essere il più democratico ed egualitario, l’arte debba essere diventata materia di pochi. Affare per un’élite. Roba da cerchio magico. La mostra di Rimini riporta l’arte davanti allo sguardo e al giudizio dell’uomo comune. La rimette in piazza. Credo ci sia da guadagnarci per tutti.