Ratzinger e le radici cristiane dell’Illuminismo

Le-souper-des-philosophes[1]L’Associazione italiana Centri Culturali segnala per la sua attualità un testo di Joseph Ratzinger. Si tratta di alcuni passaggi dalla conferenza tenuta la sera di venerdì 1 aprile 2005 a Subiaco, al Monastero di Santa Scolastica. L’intervento è stato pubblicato poi integralmente da Cantagalli nel 2005 con il titolo L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture.

 

«Il cristianesimo, in quanto religione dei perseguitati, in quanto religione universale, al di là dei diversi Stati e popoli, ha negato allo Stato il diritto di considerare la religione come una parte dell’ordinamento statale. Ha sempre definito gli uomini, tutti gli uomini senza distinzione, creature di Dio e immagine di Dio, proclamandone in termine di principio, seppure nei limiti imprescindibili degli ordinamenti sociali, la stessa dignità».

(…)

«In questo senso l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana. Laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato (…) È stato merito dell’illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce. Il Concilio Vaticano II, nella costituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo, ha nuovamente evidenziato la corrispondenza tra cristianesimo e illuminismo, cercando di arrivare ad una vera riconciliazione tra Chiesa e modernità».

(…)

«Con tutto ciò bisogna che le due parti [cristianesimo e illuminismo] riflettano su se stesse e siano pronte a correggersi. Il cristianesimo deve ricordarsi sempre che è la religione del logos. Esso è fede nel Creator spiritus, nello spirito creatore dal quale proviene tutto il reale. Proprio questa dovrebbe essere oggi la sua forza filosofica, in quanto il problema è se il mondo provenga dall’irrazionale, e la ragione non sia dunque altro che un “sottoprodotto”, magari pure dannoso, del suo sviluppo o se il mondo provenga dalla ragione, ed essa sia di conseguenza il suo criterio e la sua meta. La fede cristiana propende per questa seconda tesi, avendo cosi, dal punto di vista puramente filosofico, davvero delle buone carte da giocare, nonostante sia la prima tesi ad essere considerata oggi da tanti la sola “razionale” e moderna. Ma una ragione scaturita dall’irrazionale, e che è, alla fin fine, essa stessa irrazionale, non costituisce una soluzione ai nostri problemi. Soltanto la ragione creatrice, e che nel Dio crocifisso si è manifestata con amore, può mostrarci la via. …

… Nell’epoca dell’illuminismo si è tentato di intendere e definire la norme morali essenziali dicendo che esse sarebbero valide etsi Deus non daretur, anche nel caso Dio non esistesse. Nella contrapposizioni delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’ evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertezze delle varie filosofie e confessioni. Cosi si vollero assicurare le basi della convivenza e, più in generale, le basi dell’umanità. A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili. Ma non è più cosi. La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze è fallita. Neppure lo sforzo di Kant è stato in grado di creare la necessaria certezza condivisa. Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della pura ragione ma nello stesso tempo aveva presentato Dio, la libertà e l’immoralità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale. La situazione odierna del mondo non ci induce forse a pensare di nuovo che egli possa aver ragione? Vorrei dirlo con altre parole: il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare agli amici che non credono. Cosi nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno. Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento nella storia sono uomini che attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano credibile Dio in questo mondo.”


A proposito di cultura cristiana…

Vittore_carpaccio,_visione_di_sant'agostino_01[1]Proponiamo un testo segnalato dall’Associazione Italiana Centri Culturali a proposito di cultura cristiana. La parte che precede la citazione è tratta da Veronique di Charles Péguy, là dove il poeta e scrittore francese presenta il suo noto giudizio sul mondo moderno dopo Cristo, senza Cristo.

 

(…) Péguy ad un certo punto parla di «viltà di diagnosi» dicendo che i preti e i cattolici non vorranno riconoscere la dimensione e la natura della scristianizzazione. Ma non riconoscendo questo, si compie quello che Giussani chiama «l’errore fondamentale» (L. Giussani «Tutto quel che si dice» in Dal temperamento un metodo. Bur Milano 2002, p.53.) della risposta cattolica al moderno, cioè pensare di vincere la cultura moderna con la cultura cristiana. Questo è l’errore fondamentale. Se non ci sono relazioni tra l’uomo di oggi e il cristianesimo, la cultura, anche cristiana, non è grado di per sé di stabilire alcuna relazione. La cultura non può stabilire di per sé nessuna relazione reale: occorre qualcosa che venga prima della cultura. Questa è l’intuizione di Péguy. E questa è identicamente l’intuizione di sant’Agostino.

Sant’Agostino arriva a dire, seguendo san Paolo, che tutta la dottrina cristiana senza la delectatio e la dilectio, senza l’attrattiva amorosa della grazia, è lettera che uccide (Cf. Agostino, De Spiritu et littera 4,6; ci. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae q 106 p 2. 7P). Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. È qualcosa che viene prima della cultura. Questo qualcosa che viene prima sant’Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l’attrattiva amorosa della grazia. Così il contesto in cui viviamo rende soltanto più evidente la prospettiva cristiana. Leggo ancora una frase della Postfazione perché mi sembra semplice, così che anche i più giovani possano immediatamente intuire: «Non si diventa cristiani per un discorso, non si diventa cristiani per la teologia, non si diventa cristiani nemmeno perché si legge la Bibbia. Sono tutte occasioni per diventare cristiani, come per esempio occasione umanissima per diventare cristiani può essere data dal fatto che uno si innamora di una ragazza cristiana. Un’occasione molto più semplice e molto più vera delle altre. Soprattutto così il cristianesimo si è diffuso. » (P. Mattei (a cura di), Charles Péguy. l’operare delta grazia, cit., p. 4)

 

Brani tratti da Giacomo Tantardini, Il cuore e la grazia in sant’Agostino. Distinzione e corrispondenza, Città Nuova 2006. Il volume raccoglie alcuni “Convegni sull’attualità di sant’Agostino” promossi dall’Associazione Rosmini nell’Università di Padova