di Giovanni Scarpa.

«Non si riesce a immaginare Platone e Aristotele se non con gran vesti di pedanti. Erano invece delle persone comuni e ridevano, come gli altri, con i loro amici; e quando si sono divertiti a scrivere le Leggi e la Politica l’hanno fatto per divertirsi; questa era la parte meno filosofica e meno seria della loro vita, mentre la più filosofica era di vivere semplicemente e tranquillamente» Pascal, pensiero n.331

 

Ci sono dei testi che per loro natura ci spingono ad immaginare i volti e le vite di chi li ha prodotti come una sorta di corollario alla loro esistenza. C’è allora chi vede George Martin picchiato da bambino, chi la Rowling chiusa in uno sgabuzzino, ognuno si figura il proprio autore a seconda dei libri che ha scritto. A volte ci si azzecca pure, a volte, come nel caso di Rike, un po’ meno.

Rilke. Di solito chi pronuncia questo cognome lo fa in contesti culturali di un certo spessore: il tono di voce si abbassa, le sopracciglia si piegano in modo innaturale, lo sguardo si fa penetrante e serissimo. Non si fanno battute su Rilke, non si scherza con Rilke, si mostrano solo foto che lo ritraggano esile, tisico, imperscrutabile e possibilmente in posa da pensatore professionista: era pur sempre tedesco (boemo per l’esattezza)!

Chi mai sospetterebbe che dietro la facciata luminosa della fenice della poesia mondiale si nasconda un furbissimo porcellino d’india? Che dietro immagini sobrie e parche si nasconda un tipo così porco? (ok, mi fermo con le battute brutte!).

Donne gravitano attorno a lui come api attorno ad un unico fiore, ovunque: amanti, corrispondenti, mecenati ereditiere, pittrici, “amiche”, poetesse: Lou Andreas-Salomè, la Principessa Marie von Thurn und Taxis, Adelmina Romanelli, Baladine Klossowska, Erika Mitterer, Marga Wertheimer, Loulou Albert-Lasard, Magda von Hattingberg, Clara, sono solo alcuni dei nomi di quelle che Rilke intrattiene con missive che per potenza evocativa superano di gran lunga le pagine di Cinquanta sfumature di grigio.

Perché il punto è non parlare mai di sesso. L’arte dell’abbindolamento e della conquista emerge chiaramente dalle lettere del poeta come arte del “non detto”, del segreto sussurrato, del gesto accennato, del profumo inebriante e delicato, della metafora floreale e vaga. Le donne in brodo di giuggiole gli rispondono tutte insieme e egli, come scrive alla pittrice Klossowska il 16 dicembre del 1920, si ritrova a dover rispondere a ben 115 lettere al giorno.

Esempio imprescindibile della maestria rimorchiativa del poeta apparentemente “sfigato” rimane senza ombra di dubbio l’esperienza con l’intellettuale Lou Salomè.

Questa dama rientra a pieno titolo in quella vasta categoria delle cosiddette “profumaie” che tanto palesano la loro disponibilità quanto esecrano coloro che provano a trarne profitto.

Molto determinata, corpo attraente, stravagante, labbra “quasi religiose”, una sfinge misteriosa: gli uomini più importanti e attraenti della Monaco bene le cadevano ai piedi come peri cotti ma lei, niente! Nietzsche ci prova e lei, niente! Freud ci prova, e niente! Persino il teologo Hendrik Gillot ci prova, ma niente! Nessuno, per l’evidente bassezza intellettuale nei suoi confronti, riesce a catturarla. Nemmeno al marito di lei, tale Friedrich Carl Andreas, è concesso il previlegio di consumare un matrimonio di facciata. La vergine melliflua ed intoccabile procede a passo lento come una Marilyn ante-litteram: Maddalena e Madonna.

È il 12 maggio del 1897 quando il poeta incontra lei assieme alla fedele amica per le strade della città: lui ha 22 anni, lei 36. Reagisce, prestante e per nulla intimidito dalla sua presenza, alle provocazioni intellettuali paccosissime su tematiche teologico-religiose e nel giugno dello stesso anno i due (assieme all’amica sfigata di prima, Frieda von Bulow) stanno già amoreggiando nello chalet di famiglia nella valle dell’Isar.

Camminano a piedi nudi, si recitano poesie d’amore, discutono di filosofia, s’imboscano. E mentre lei gli cambia il nome “René” in “Rainer” (che più si avvicina all’idea di purezza, pensa un po’), questi conquista ciò che nessun uomo prima di lui era stato in grado di conquistare: il corpo di lei. Eminenti studiosi come H.F. Peters e E.M. Butler discuto ancora circa il primato rilkiano sulla patata dell’intellettuale, ma, nonostante le diatribe, la storia risulta emblematica circa la marpioneria del poeta che si presenta ad essere uno dei più colti toy-boy della storia mondiale.

Con ciò non si vuole certo sminuire la portata rivoluzionaria che opere come le Elegie Duinesi o i Sonetti ad Orfeo hanno avuto per la poesia, ma portare un po’ d’aria fresca, ecco, pulsante ed erotica, all’interno di una stanza sulla quale spesso la “critica letteraria” di facciata ha saputo depositare strati e strati di polvere stantia.

Bukowski apprezzerebbe, così come quel donnaiolo di Victor Hugo, ne sono certo. Perché il poeta mingherlino, l’orfico e taciturno scrittore sempre in viaggio, sa benissimo che se è pur vera la frase “carmina non dant panem” altrettanto vera è quella per cui spesso “dant” qualcos’altro: egli più di altri ha compreso il potere conturbante della lettera, dello scrivere, quel suo farsi carezza e talamo.

È la lettera che ferisce più della spada, con essa si conquistano castelli, fortezze, e se si è bravi come Rilke, persino donne inespugnabili.