Dialogo sul referendum per l'autonomia del Veneto

Giovedì 12 Ottobre 2017 presso il Teatro Ruzante - ore 18:40

  • Intervengono:
    Prof. Mario Bertolissi, professore di Diritto Costituzionale all'Università di Padova
  • Dott. Francesco Jori, giornalista ed editorialista
  • On. Simonetta Rubinato, parlamentare e avvocato

Il 22 ottobre siamo chiamati a votare per il Referendum sull'autonomia della Regione Veneto. La proposta del Referendum ha superato il vaglio della Corte Costituzionale nel 2015 e serve ad attuare per la prima volta l'articolo 116 della Costituzione che prevede per le Regioni ordinarie la possibilità di ottenere "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia". A fronte di un dibattito che tende a leggere questa consultazione elettorale in chiave partitica e di schieramento, sorge l'interesse di approfondire cosa muova questa domanda di autonomia, quale sia il suo scopo e che importanza essa possa rivestire per la vita dei cittadini veneti e italiani.

Il primo aspetto a essere messo in discussione da alcuni è l'utilità stessa del Referendum rispetto alla richiesta di maggiore autonomia. Trattandosi di un voto solo consultivo, l'eventuale esito positivo non farebbe che rinforzare la posizione della Regione nel suo negoziato con lo Stato previsto dalla Costituzione. Significa che qualunque aspirazione dei cittadini sarebbe destinata a infrangersi sugli scogli dell'immobilismo politico, come tante altre questioni, o possiamo sperare nel contrario?

Un'altra questione cui prestare attenzione è il senso stesso della richiesta di autonomia: si tratta di una pretesa egoistica di una regione contro le altre o di un'occasione per valorizzare la gestione locale e realizzare la sussidiarietà? La vita dei cittadini di una Regione con più autonomia potrà andare incontro a concreti miglioramenti? Il resto del Paese deve temere un'iniziativa di questo tipo, o può prenderne ispirazione per iniziare percorsi di responsabilità verso le proprie comunità?

Scrivi le tue domande a info@rosminipadova.it

Dialogo sul Referendum per l'autonomia del Veneto


Cronache di guerra e di speranza da Aleppo: Testimonianza di Padre Ibrahim Alsabagh

Incontro Testimonianza dal titolo "Un istante prima dell'alba. Siria. Cronache di guerra e di speranza da Aleppo" con Padre Ibrahim Alsabagh, padre francescano di Aleppo (Siria), che si terrà Lunedì 25 Settembre 2017 alle ore 21.00 presso l'Auditorium della Fondazione S. Pio X per la nuova evangelizzazione - via C. De Cristoforis 8, Padova.

Padre Ibrahim, frate francescano e parroco di Aleppo, nell'incontro organizzato dalla Associazione Culturale Antonio Rosmini di Padova, racconterà attraverso le pagine del suo libro il conflitto siriano. Un diario struggente sul conflitto siriano e di come La chiesa parrocchiale latina di San Francesco d'Assisi e il convento dei francescani della Custodia di Terra Santa per molto tempo si sono trovati a ridosso della linea del fronte tra forze governative e milizie ribelli. Negli anni sono diventati un punto di riferimento e di salvezza per centinaia di famiglie. La distribuzione dell'acqua, dei viveri e delle medicine, la riparazione delle case danneggiate, le rette per gli studi universitari e quelle scolastiche per tanti bambini, la consolazione di vedove e orfani: tantissime storie di solidarietà che vedono come protagoniste le persone di Aleppo. La guerra non è ancora finita. Ma di sicuro non ha vinto.

Primo appuntamento del progetto “Migranti – la sfida dell’Incontro” organizzato dalla Associazione Culturale Antonio Rosmini che vuole essere un vero percorso costituito da momenti di dialogo e di approfondimento culturale attraverso i racconti di chi è coinvolto in prima persona. Vogliamo continuare a capire cos’è il “Potere dei senza potere” attraverso testimonianze di vita quotidiana ed in continuità con quanto iniziato con il venezuelano Alejandro Marius (incotro testimonianza organizzato dalla stessa Rosmini a maggio 2017 nella città di Padova). Si vuole intravedere quel potere che l’uomo “comune” scopre di possedere vivendo semplicemente la propria esperienza di vita quotidiana, piena della ricerca di un significato vero per sé; scoperta che permette di cambiare sé ed il mondo dando a tutto una dignità umana, anche a quello che ne sembra apparentemente privo come la guerra o la crisi economica.

Evento realizzato con il Patrocinio della Caritas di Padova e del MIUR - Ufficio Scolastico Regionale Per il Veneto – Ufficio V Ambito Territoriale di Padova e Rovigo.


Come rimuovere l’universo per poterlo evocare. Mark Tobey alla Guggenheim

di Mario Cancelli. L’opera di Mark Tobey, in mostra al Guggenheim veneziano, appartiene e si dimostra legata a quel nodo in parte irrisolto che fu l’action painting americana e tanto più vi appartiene quanto più si cerca di separarla.

Fu Francesco Arcangeli a portare a conoscenza dell’Europa le “città bianche” di Tobey, i tralicci dalla luce chiara, le superfici sature di pigmenti e il cesello certosino di quel bianco aureo, allusivo a un imprecisato Oriente. I filamenti, i deboli grafismi che sembrano galleggiare in una materia diffusa e delicata e soprattutto quella linea che percorre la superficie quasi senza legge, furono da Arcangeli collegati all’espressionismo astratto.  Al critico bolognese dovette sembrare, quello, il teatro di uno spazio indefinito e di una libera ed espansiva gestualità, testo esemplare che gli permetteva di unificare esperienze diverse tra loro di cui le città di Tobey parevano i necessari prolegomeni.

Debra Bricker Balken, curatrice della mostra, sembrerebbe confermare tale lettura: quella di un Pollock folgorato da Tobey. Dunque alla suggestione iniziatica suscitata in Pollock dagli indiani d’America si dovrebbero sostituire i calligrammi cinesi?

Niente paura, per i fans del modernismo e dello spiazzamento generalizzato: anche su Tobey, che aveva iniziato studiando il Rinascimento, mai si protende l’ombra di Duchamp, sotto forma di un’astrazione gravida di implicazioni psichiche.

Va detto infatti che anche l’Oriente fornì a Tobey un passaggio, non certo una soluzione, perché è evidente che la costante del moto pittorico di Tobey è la vitalità della città, luogo pulsionale e gestuale per eccellenza, cui egli farà sempre ritorno: anzi, a ben guardare, la città appare come la filigrana delle sue opere. “Luce filante (Threading light)”, del 1942, tempera su carta che dà il titolo alla mostra, richiama con la sua tecnica detta della “scrittura bianca” un Oriente percorso e amato ma anche partecipato da una soggettività che associa passione per la musica e per la sperimentazione.

Ne risulta un “atto” pittorico fluido e preciso, ritmico e calligrafico assieme che, come dice il titolo dell’opera, fila, va, si sfila e ti fila, per poi svanire e ritornare come un gesso su una lavagna che riceva segni senza stridori o come filamento tracciato da un incisore di coralli: quasi un dripping eseguito accuratamente da un mandarino cinese, con paradossali esiti di incoercibile autocontrollo.

“Il vuoto divora l’era del gadget”, 1942, che anticipa le Excavations di De Kooning, vira verso un’empirica spiritualità, poi saranno le trame di seta, in competizione con il marmo e il vuoto.

Molto si può dire e apprezzare di Tobey, ma troppo spesso si elude l’indagine sul perché un artista di sensibilità narrativa e vis satirica (come testimonia il bellissimo “Nebbia al mercato” del 1940) si sia consegnato a un sistematico lavoro di annullamento dei dati della civiltà, per poi recuperarli, attraverso tali atti ripetitivi, quasi baco da seta inesausto, avendoli peraltro matericamente desacralizzati.

A ben guardare, c’è motivo di pensare che a secernere questo materia bianca e opalescente, più che l’intuizione di una nuova sintesi di civiltà, sia quel gusto per nulla metafisico, che come sanno i bambini, dà il sapore dello zucchero filato: insomma pare che a muovere qui l’autore sia il pensiero di quel piacere che ogni civiltà promette e concede, ma a quale prezzo.

Questa partita con la materia (tanto più materia proprio quando essa si accende nella luce), rimette in moto le geometrie di Kandinsky, si veda “Eventuality 44”), per inseguire le gloriose “eventualità” della scrittura rinvenuta.

Colui che aveva rifiutato qualsiasi identificazione con le scuole pittoriche americane ed europee, aveva pronunciato forse quel rifiuto perché aveva intuito come le crisi delle civiltà siano, in primis, crisi dell’io? Da qui forse anche le ragioni di un’adesione a quel credo baj che tutto omologa, come una rinuncia alla sovranità individuale che tutto giudica. Ma se gli ultimi ed eccelsi atti di Tobey furono l’approdo a un sublime quanto freddo accademismo, cioè ai sacri valori dell’arte, non dimentichiamo che occorre sempre fare l’anamnesi del gran rifiuto iniziale, quello della scuola di Parigi: tale indagine rimetterebbe in gioco infatti l’arte di Tobey, e l’interesse per essa.

Quel rifiuto fu forse un modo per restare fedele alle ragioni dell’espressionismo, a un gesto che, proprio perché imparentato con l’inconscio, non si opponeva per questo al pensiero, come invece pretendevano gli europei? L’Action painting conobbe il medesimo destino: da una parte lo “sporco” della materia come istanza dell’io, dall’altra la purezza della perla, lavorata dal maestro di Seattle con una perizia che non sopporta compromessi.

La risposta alla domanda capitale offrirà la chiave di questa pittura, capace di evocare l’universo dopo averlo quasi completamente rimosso, di nominare Grecia e Roma e America e Oriente, dopo averli consumati. Forse le “black paintings” di Pollock iniziano proprio nel punto in cui le “White paintings” di Tobey concludono, recuperando dall’oceano le figure della propria storia personale: ma a quello che Kafka definiva “il punto di Archimede”, Tobey non arrivò.

È però occasione straordinaria ritrovare, nelle sale del Guggenheim, gli esiti di una libertà che, nonostante la rêverie di una galassia lattea, non rinuncia alla sindone del proprio dramma.

(Mario Cancelli)

 

Bologna, 17-6-2017

Mark Tobey. Luce filante

Peggy Guggenheim Museum

6 maggio - 10 settembre 2017

A cura di Debra Bricker Balken

#MarkTobey


Il potere dei senza potere: una testimonianza dal Venezuela

Incontro con Alejandro Marius, presidente di Trabajo y persona

Domenica 14 maggio ore 18,00, alle scuole Romano Bruni (via Fiorazzo 5, Ponte di Brenta)

Cosa può mai offrire un Paese con duecentomila omicidi l’anno e altrettanti emigranti su trenta milioni di abitanti, un’inflazione prevista quest’anno al 1.600 per cento (avete letto bene), che ha ridotto a due i giorni lavorativi della settimana per risparmiare elettricità, senza farina nelle panetterie e farmaci negli ospedali? Che speranza potrà nutrire un popolo governato da un autocrate capace di esautorare il Parlamento (dove teoricamente governerebbe l’opposizione), isolato la nazione dal resto del mondo e in cui le proteste di massa sono soffocate nel sangue, mentre vengono arrestati i componenti delle forze dell’ordine che non vogliono partecipare ai massacri?

Una Nazione può essere tanto stremata, eppure avere qualcosa da offrire, oltre alla più grande riserva petrolifera del mondo, resa ugualmente inservibile dal regime? Qual è la cosa migliore che ci si può attendere, se non la sua liberazione politica attraverso una sanguinosa guerra civile, peraltro già all’orizzonte?

Eppure, il suo tesoro non sembra essere metri sottoterra, ma avere braccia e gambe, idee e voce. Un volto incontrabile.

È questo il volto di Alejandro Marius. Alejandro, nato e cresciuto nel Paese che prese il nome dalla suggestione del navigatore Amerigo Vespucci, il quale trovò così somiglianti le palafitte della laguna di Maracaibo a Venezia al punto da battezzarle Veneziola, ci conduce per mano in un’altra dimensione della difficile vita venezuelana, che egli vive nella carne insieme alla famiglia. Una dimensione fatta di libertà e perdono.

In un suo recente articolo, Alejandro, presidente dell’associazione Trabajo y persona, ammette la tentazione: «di fronte al dramma che stiamo vivendo in Venezuela sembra che per alcuni il momento di perdonare non sia ora, che il fine giustichi i mezzi e che sia possibile cominciare a perdonare dopo una montagna di morti». Alejandro la vede diversamente: le proteste pacifiche sono un diritto ma devono accompagnarsi a proposte; la libertà esige la responsabilità di ricostruire insieme; la speranza ha la forma di un processo di rinnovamento, lento e faticoso.

In cosa consiste la responsabilità di chi è impotente di fronte alle vicende del suo Paese? Perché Alejandro, da cittadino qualunque, è disposto ad accollarsi le fatiche e l’impegno che spetterebbero al regime? Dove si celano la soddisfazione, la fiducia e la speranza che gli consentono la pazienza e il perdono? Queste domande non riguardano solo chi vive ad un oceano di distanza ma ciascuno di noi; allo scoprire che per la nostra città passa chi sembra averle affrontate, suscita la nostra curiosità; poterlo incontrare e udirne la voce, smuove il nostro torpore.

Siamo dunque onorati di questa visita, che restituisce alla vicenda del martoriato Paese non solo la dignità che le spetta, ma un valore paradigmatico - rende il suo Calvario qualcosa cui prestare attenzione per ragioni molto personali. Dove si cela il vero potere, in ciascuno di noi?

 


Campagna Associativa: Una proposta per Tutti!

Qualche buon motivo per diventare Soci e contribuire alla vita culturale e sociale di Padova

La ROSMINI è da anni uno dei soggetti culturali più presenti e più propositivi del territorio padovano. Nata nel 1985 per favorire – secondo l'apertura culturale che era propria di Antonio Rosmini, educatore e filosofo - l’approfondimento dell’esperienza della contemporaneità, proponendo alla città occasioni di incontro, spettacolo, riflessione, cultura ed esperienza artistica sulle tematiche più attuali ed interessanti.

Nel 2017 vogliamo continuare ad aprire la nostra Città alle sfide che il mondo e il nostro Paese ci lanciano attraverso proposte ed eventi che rispettino l'intuizione originaria della nostra Associazione: guardare alla contemporaneità facendone emergere la positività e giudicandola senza schemi dominanti o di convenienza occasionale.

Nel percorrere questa strada abbiamo bisogno del Tuo coinvolgimento, della Tua partecipazione e del Tuo prezioso supporto, nella consapevolezza che possiamo operare esclusivamente grazie agli amici che la sostengono.

 

Ecco la nostra proposta: diventa subito Socio per questo anno sociale con una piccola quota di 10 euro tramite carta di credito,  cliccando sul bottone Dona subito a destra, o con bonifico alle seguenti coordinate bancarie:

IBAN IT79F0306909606100000001607 - Intesa Sanpaolo                        Intestazione: Associazione culturale Antonio Rosmini                                Causale: Quota Associativa.

 

NOVITA' 2017: come associato o donatore avrai la possibilità di partecipare al “CLUB ROSMINI”, per maggiori informazioni clicca qui.


Eredità, io, gesto. La mostra bolognese di Mario Cancelli presentata da Patrizia Pizzirani

mostra-cancelli-2Il primo dicembre è stata inaugurata al Cafè de la Paix di Bologna la mostra del critico d’arte e pittore - oltre che editorialista del nostro sito - Mario Cancelli, dal titolo “Eredità, io, gesto”. La mostra rimane aperta fino al 15 gennaio 2017. Riportiamo la recensione di Art Tribune (a questo link) ma soprattutto il testo critico di Patrizia Pizzirani che riportiamo qui sotto.

 

Mario Cancelli nasce critico d’arte

di Patrizia Pizzirani

mario-cancelliLo sguardo, il mirare, sono un suo chiodo, si può dire, come attestano alcuni quadri. Schiodarsi da quel mirare, da quel contemplare, è stato il lavoro di una parte della sua vita che questa mostra documenta.

Negli anni ’80 avviene l’incontro con William Congdon, mirato sì alla luce rapinosa e gloriosa dell’estetica teologica di von Balthasar, ma anche osservato, indagato e restituito alla sua propria action painting, contro altri critici che ne celebravano la mistica dissoluzione.

babbo-mamma-io-e-paesaggio-1999-olioCancelli inizia a dipingere con alcuni piccoli quadri già preziosi nel 2002: Luna, ferita, che ricorda sia l’orma di Congdon che un sipario sfondato, fra Fontana e Leopardi, Sole, Scorpiace, Paesaggio, Ei-lat e Scorpiace, sabbia.

Di quegli anni è anche la serie Edipo latino: Il sogno di Caligola (Incitatus, notte. Presagio) e Edipo latino, lo scriba. A GBC, i quali illustrano una nuova libertà, una libertà da divano, che l’autore conosce e registra anche pittoricamente: il rimosso che ritorna trova spazio e si disinnesca in un fumetto graffito che apre all’umorismo, perché anche la patologia ha una sua rispettabile amabilità.

mostra-cancelli-3Va detto che subito dopo, per anni, tale libertà di discorso viene quasi accantonata: è la lunga teoria dei bellissimi piccoli paesaggi, molti in verticale, dove l’orizzonte è in agguato sulla terra, ristretto o sconfinato, tramonto o giorno notturno e dove l’unico evento è talvolta una frana che precipita dall’alto, citazione materica del dramma che non scalfisce l’idillio.

mostra-cancelli-1Cancelli mira la natura, “stanza smisurata e superba”, un luogo ideale che quasi lo ipnotizza: se perfino nei campi cristologici di Congdon il dramma non mancava mai, qui ciò che non manca mai è appunto l’idillio, su cui l’autore impasta e fa scendere ampie dosi di fangosi autunni morlottiani. Insomma, l’eredità si rivela più apparente che reale, anche perché, mentre Congdon procede per sottrazione, aspira all’essenziale pittorico per denudare l’immagine, Cancelli procede per accumulazione, talvolta per “superfetazione” o abuso materico in corpo pittorico.

immacolata-concezione-2015-olio“Mai usato un pennello, mi farebbe orrore”: così dichiara Cancelli.

La spatola, piccolo, rudimentale e gioioso strumento, ci mette nel mezzo di quel gioco di bambini (“se non ritornerete come bambini”) che i quadri di quest’autore sono: per i più recenti si potrebbe parlare di infant action, parafrasando la tanto amata-mirata action painting, tale è la furia di dipingere con cui sono stati fatti e l’ironia e il divertimento che essi comunicano.

la-morte-di-mose-4-aperitivo-a-babbo-morto-2016-acrilicoNel 2016, interrompendo la fase idillico-contemplativa, inizia infatti una sorta di fumetto biblico, forse una jewish action che pare ben lontana dall’esaurirsi, in cui assistiamo a numerose morti di Mosè, il liberatore-fondatore d’Israele, seguite da festeggiamenti nel deserto post parricidio: e il mondo è di un viola livido, come si conviene a chi sta già erigendo il totem e producendo conseguenti inevitabili tabù. Sono rappresentazioni rese possibili dalla riflessione assidua sulle opere di Freud, in particolare Mosè e il monoteismo.

Anche L’albero si riconosce dai frutti 1 è del 2016: un frutto dorato giace a terra, a dire quale albero fosse quello che, significativamente, è scomparso dal quadro. Quel luminoso agrume cade sulle ceneri dell’ontologia e dice la scoperta che il pensiero di Gesù è economico: scandalo da sempre censurato.

schiodarsi-dallideale-2016-acrilicoL’albero si riconosce dai frutti 2 sviluppa la stessa acquisizione del pensiero di natura, ma si riposa in un verde spento, istoriato e pomeridiano, come un frammento di tappezzeria matissiana.

Sempre del 2016 sono anche i vari La millenaria piaga che ci siamo portati dall’Egitto, cioè le circoncisioni ispirate dai versi di quell’Heine che aveva favorito in Freud l’inizio della riflessione sul monoteismo e la conseguente critica alla religione.

Allo stesso anno appartengono anche le due nebbiose Piramidi, che sorgono in una sfocata lontananza, monumenti del Superio, rappresentato quasi come un mostro di famiglia: sulle pendici di Piramide-Paneveggio crescono perfino due abeti (la piramide delocalizzata dall’Egitto al Trentino racconta che la nevrosi è universale ed è lei la vera globalizzazione).

citta-franaNel 2016 arriva anche la piccola serie dei Superio (Let it fall e Il Superio 1 e 2) che evolvono da antichi, disfatti asfalti di estati bolognesi, e da tentazioni-resurrezioni, queste sì pittoricamente congdonianissime, dove il nero si ritirava davanti alla luce.

Quel catrame, reale o metaforico, è per Cancelli quasi la garanzia del gesto, perché attesta che l’io-pensiero è passato di lì; gesto così tanto ribadito forse per scappare alla paresi della contemplazione di cui egli sente tuttora il richiamo: io ci sono, dice quel gesto, non per una platonica eternità, ma in saecula saeculorum.

A quella libertà iniziale l’autore dimostra di voler ritornare.

Così pensava anche l’Edipo latino del piccolo quadro omonimo (qui citato all’inizio) dipinto nel 2004, che occorre riprendere per concludere: un Edipo laico, felice di poter finalmente rappresentare il proprio rimosso, graffito sulla parte superiore, e di salvarsi in tal modo dalla catastrofe dell’ideale che paralizzava l’Edipo greco; più simile dunque all’Edipo riuscito di Hartmann Von Aue. Il gesto stesso in tale prospettiva perde l’aura romantica e forse potrà abilitarsi a raccontare il suo moto. È il caso di dire che quel piccolo quadro è dedicato a G.B. Contri cui, evidentemente, questa mostra risulta a sua volta dedicata.


Pittura Museo Città, una mostra dal 1975 al 2015

artisti ieri e oggidi Mario Cancelli. Maurizio Bottarelli, Sergio Cara, Bruno de Angelis, Daniele degli Angeli, Marcello Landi, Vittorio Mascalchi, Gabriele Partisani, Giovanni Pintori, Roberto Rizzoli, Vincenzo Satta, Severino Storti Gajani, Giorgio Zucchini.

Un'opera di Sergio Cara
Un'opera di Sergio Cara

Cominciamo con i loro nomi. Un po’ come nel libro dell’Esodo o nei Guermantes di Proust. Più che per obbedienza alle sacre regole del giornalismo, per evitare quell’effetto di sospensione che spesso ci trasmettono i non meno sacri testi critici. Prima il “Chi”.

mostra5Li potete incontrare, questi artisti che qualificarono la vita culturale di Bologna in quegli anni, come ben testimoniato dal catalogo “PITTURA MUSEO CITTÀ una mostra dal 1975 al 2015”, curato da Sandro Malossini e Paolo Conti, nei bellissimi spazi espositivi della Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Viadana.

Rosso - Giorgio Zucchini
Rosso - Giorgio Zucchini

La mostra riunisce, infatti - “ricorda” pare limitativo - le vicende di alcuni giovani pittori i quali, appena diplomati nella maggior parte di loro all’Accademia delle belle Arti, altri già docenti, operarono nella città suscitando interesse proprio per il gusto appassionato della pratica del fare artistico che in quei giorni veniva messa in discussione da più aggressive e totalizzanti istanze.

Londra - Maurizio Bottarelli
Londra - Maurizio Bottarelli

Probabilmente ignorati dagli improvvisati Comitati di salute pubblica, mentre fuori dei muri del Palazzo Bentivoglio - ricorda uno di loro, Bruno de Angelis - s’alzava la cortina dei lacrimogeni e delle molotov, reduci già a vent’anni per questa loro difesa dell’arte, consapevoli di essere oramai i soli rappresentanti di sé medesimi dinanzi al tribunale dell’io (più che della storia), essi congiunsero in continui confronti con i maestri - tra i quali è giusto ricordare anche i critici Giovanni Maria Accame e Pier Giovanni Castagnoli - la febbrile attività creativa ed intense riflessioni sulla propria prassi. Si trovavano tra l’incudine di un mondo dell’arte in rapido cambiamento, che consumava ciò che era appena stato confermato e il martello dei sommari negazionismi.

Un'opera di Bruno De Angelis
Un'opera di Bruno De Angelis

Quegli anni culminarono in una mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna e nell’apertura degli studi personali, secondo un’idea di aprire l’arte alla città, che avrà successo ai nostri giorni. Da qui il titolo dell’iniziativa e del catalogo: “PITTURA MUSEO CITTÀ una situazione a Bologna”.

Senza titolo - conchiglia - Roberto Rizzoli
Senza titolo - conchiglia - Roberto Rizzoli

Non “il Palazzo” (del potere), come si dirà poi, ma un palazzo fu all’origine di questi sentieri, che oggi appaiono a volte interrotti, ma ricchi di intuizioni ancora feconde; quel Palazzo Bentivoglio che meriterebbe la penna di Bassani, eretto nel Cinquecento da un ramo collaterale della famiglia che aveva dominato Bologna, come tributo all’antico splendore del primigenio palazzo Bentivoglio, distrutto a furor di popolo.

Piccola sindone Gabriele Partisani
Piccola sindone Gabriele Partisani

La bellezza della loro storia è non solo nell’attenzione e nelle cure dei critici che operavano all’epoca - il gradevole e duttile catalogo riporta testi di Accame, Castagnoli, Trento, Cerritelli, Guberti,- quanto nella prudenza e nella quasi paterna pazienza degli stessi, che dimostravano di aver afferrato pienamente la situazione di questi artisti, loro amici e compagni, per nulla “situazionisti”. Non avevano fra le mani le pretese di un gruppo, capace di manifesti e di dottrinarie premesse e promesse, ma personalità che le foto d’epoca ci restituiscono sorridenti, fiduciose pur fra tante incertezze, di poter conseguire una meta che l’occasione di Viadana sottrae alla polvere del tempo.

Acrilico su tela - Daniele Degli Angeli
Acrilico su tela - Daniele Degli Angeli

Senza strafottenza, senza obiezione, con rispetto. Cosa c’è di più politico del proprio desiderio che non vive se non in rapporto con l’altro, del proprio impegno a trarre qualcosa da insegnamenti, stili, messaggi, tendenze? Non vediamo nulla di provinciale o di esasperatamente acceso infatti nei loro esiti: tecniche e linguaggi maturi, abilità e giovanile volontà di tentare e provocare le acquisite eredità linguistiche, quasi inesistenti i narcisismi di chi possiede oramai strumenti e li vuole ostentare.

Si resta ammirati davanti alle fredde ma liriche geometrie di Sergio Cara, di perfetta e misurata eleganza, ai cartoni tra il pop e il minimalismo di Partisani, già opere “povere” quanto a materiali eppur ricche di vivacità e prontezza. Colpisce la determinazione con la quale Bruno de Angelis conduce il suo impeto informale nelle parietali dimensioni di una superficie che, senza nulla invidiare a quelle dei canvas dell’Action painting, orchestra musicalmente neri e grigi, secondo partiture che costeggiano il minimalismo, restando ancorate a spazi, percezioni: luoghi non emotivi, ma trasposizioni della memoria e della psiche. Ai seriali ritmi astratti di Storti Gajani, pastellati, esito di grigi nebbiosi e azzurrini, che fanno pensare ancora agli ultimi naturalismi di cui parlava Arcangeli. Si va dalle textures sapienti di Landi a quelle espressionistiche e seducenti, capaci di confessione di Pintori, tentate da inserzioni alla Rauschenberg.

mostra2Tutto dice della qualità e della durezza della partita: non solo tra vecchio e nuovo, ma soprattutto tra una forma spiritualistica, non inclusiva dell’io e il tentativo di difesa dell’io stesso.

Un 'altra oepra di Zucchini
Un 'altra opera di Zucchini

Alcuni, infatti, cercano ancora la favola, il mito, il racconto, come Daniele degli Angeli, ma si tratta sempre di fedeltà senza malizia al proprio immaginario, altri, come Giorgio Zucchini, guardano con ironia, leggerezza e piacevolezza a magisteri celebri; altri infine presentano l’invasione tecnologica e cercano un equilibrio tra realtà, assicurata dai media, e poetiche psicologiche, come Roberto Rizzoli.

Tra i più maturi, quanto a età, Mascalchi oppone alberi di minacciosa espressività e rapidità esecutiva alla nuova natura di oggettive e lentissime istantanee di ambienti rurali.

mostra1Nel rigoroso, perfino univoco percorso di Vincenzo Satta, cogliamo appieno, invece, il tentativo di ascesi dell’artista: le sue “macchie” per nulla gestuali sono perfettamente controllate, i suoi calligrammi veleggiano verso una luce non naturalistica, di un’astratta e mentale purezza.

In tali gnostici chiarori si manifesta appieno l’altro polo della dialettica di questi pittori a cui si accennava prima, quello che spiritualisticamente aspira a superamento (o meglio rimozione) dell’io.

MOSTRA%20PITTURA%20MUSEO%20CITTA[1]L’esperimento del Museo Civico di Viadana ha quindi non solo un senso ma anche un risultato proficuo. Anche se le poetiche non sono più quelle, se le strade individuali sono - e in mostra già vediamo traccia e sintomi di queste necessarie aperture - , se qualcuno non è più (Mascalchi, Partisani e il critico d’arte Accame) e di altri, come per Bottarelli, si è nel tempo confermata vitalità e riconoscimento. La cura dimostrata dagli organizzatori ci porta oltre l’esito un semplice recupero, semmai verso la ritrovata consapevolezza che la “ricerca del tempo perduto” è tale solo se è ricerca della “pulsione” instauratasi allora e in fondo da nessuno di loro mai perduta. Non era proprio lei, la “pulsione” dell’io, ciò che si trovarono davanti critici e maestri così attenti a ogni piega e a ogni minima variazione, ciò di fronte a cui essi stessi non sapevano - e fortunatamente - come porsi? La loro prudenza e attenzione continua certamente in questa cura odierna e vale un viaggio sulle rive del Po.

 

Pittura Museo Città - una mostra dal 1975 al 2015
MU.VI Musei Viadana - Galleria Civica d’Arte Contemporanea
14 febbraio 2016 - 11 aprile 2016


La bellezza disarmata, ecco il video

Le armonie giottesche di Marcelo Cesena, l’excursus in millenni di storia ebraica (anche padovana) di Luzzatto Voghera, l’ironia e l’umanità di Farouq, la capacità di valorizzazione e di immedesimazione di don Carrón. Ecco il video della presentazione de “La bellezza disarmata”, l’evento promosso da Comunione e liberazione e dall’Associazione culturale “Antonio Rosmini” in collaborazione con Rizzoli editore, mercoledì 24 febbraio 2016 alle 21.00 al Centro congressi Padova “A. Luciani”.

 

 

Alcuni scatti della serata


Gaitonde a Venezia, le sindoni zen che annullano i confini dell’arte

IMG_6637La retrospettiva del pittore indiano Vasudeo Santu Gaitonde (1924-2001), la più ampia tenutasi in Europa, organizzata dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, ha permesso una presa d’atto oramai completa della sua attività. Una vicenda più che significativa, sia per la qualità delle opere, sia per i rapporti che essa istituisce con l’arte europea dalla quale dipende fin dagli inizi e per il percorso finale, vera e propria anabasi o ritorno alle sorgenti della cultura orientale. Anabasi che nel suo compiersi recupera sì modelli perduti in un’epoca nella quale l’arte indiana tentava in ogni modo di inseguire e collimare con l’offerta occidentale, ma che non per questo sacrifica quanto acquisito.

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Il nostro critico Mario Cancelli alla mostra su Gaitonde

Un’operazione quindi che, assieme agli eccelsi esiti pittorici, fra i più alti di questa stagione in cui in Occidente si maturano soluzioni sofferte ma ineludibili (spesso vissute con entusiasmo e radicalità, si pensi al gruppo Gutaj in Giappone, legato all’espressionismo astratto americano) provoca entrambe le fonti proprio nell’evitare equivoci sincretismi. Quasi una sfida, a viso aperto, quella operata da Gaitonde, a entrambe le tradizioni, vissute e amate con sincero trasporto, e in grado di istituire un continuo, fertile, quasi implacabile atto di giudizio. Forse come nessun altro esempio fino ad ora conosciuto. Da qui il valore della vicenda di Gaitonde e l’indiscusso merito del Guggenheim e dei curatori, tra cui Sandhini Poddar.

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Klee, Giardino magico
Gaitonde
Un'opera giovanile di Gaitonde

Gli inizi “europei” di Gaitonde, artista schivo e lontano delle accademie, sono legati all’esperienza di Paul Klee. Non poteva essere altrimenti: Klee era uomo altrettanto schivo e dubbioso delle istituzioni accademiche, forse proprio per avervi insegnato. Il Klee che Gaitonde fa suo è il Klee astratto ma anche intimo, che offre un repertorio cospicuo di segni, simboli, soluzioni pittoriche, agiti grazie ad una texture fluttuante che unifica tutti gli eventi: si vedano le sue figure ridotte a schemi infantili e che il pittore indiano assimila con disinvoltura. Un Klee dal linguaggio delicato, che trasporta in un mondo di favola, testi “totali” anche quando in formato miniatura. Un’altra prestigiosa opera di Klee, conservata al Guggenheim, testimonia di un’eredità acquisita : quel “Giardino magico” che unifica favola, ironia, in una dimensione in cui tutto può essere detto, interferendo con firme simboliche, che rompono l’incanto e allo stesso tempo lo ricostituiscono. A parte l’ironia che contrassegna questo periodo dell’artista svizzero, la sua riduzione ad automa dell’umano, Gaitonde fa suo questo sviluppo modernista della pittura, dai molteplici possibili sviluppi.

IMG_6642Il silenzioso Gaitonde. L’arte europea però era iniziata con il gran chiasso delle Demoiselles d’Avignon: la forma classica in pezzi, l’eros che urla provocatoriamente attraverso una negritudo provocante, un cubismo in grado di far detonare l’inconscio e di neutralizzare gli eccessi. Gaitonde, che conosceva tutto ciò, decise poi un ritorno in patria, un nuovo viaggio verso le latitudini di una cultura che poteva offrirgli una soluzione a quell’automatismo che Klee vedeva impadronirsi della civiltà, verso qualcosa che fornisse riparo e dominio sulle schegge.

gaitI suoi simboli divengono quindi simboli con la maiuscola; il silenzio, approdo mistico. La mostra documenta in abbondanza questo tentativo. Si sente dire che i mistici siano tra loro tutti uguali: un luogo comune. Parallelismi con l’arte di Rothko? In realtà il pittore statunitense, in nome di una ecumenicità astratta, fonde i simboli prima ancora della realtà fenomenica, rimane erede del Rinascimento, lontano da questi aut-aut. Certo l’Occidente stesso a più riprese inseguirà la sapienza orientale, ma secondo dinamiche tutte sue. Tobey? Le sue superfici di puntini luminosi potrebbero rappresentare la massima prossimità, ma anche il preludio delle mappe gestuali di Pollock. E Mondrian non vive una sua geometria vivente in una polis che conosce solo atto e profitto?

IMG_6586Gaitonde quindi si trova a includere con un realismo sintetico paesaggi e interni quasi cinematografici, resi da un gesto rapido, moderno - sembrerebbe quasi un action per questo - ma da cui il mistico si trattiene e ci trattiene e che pervade di una malinconia quasi leonardesca. Tra noi e la realtà si eleva una barriera, la linea orizzontale che evoca la Perfezione, l’Ideale nascosto come termine di ogni moto.

Franz Kline Painintg n. 7
Franz Kline, Painting n. 7
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Un'opera di Gaitonde esposta a Venezia

Forse la distanza con l’Occidente è più testata che resa bandiera. Al “tutto è superficie” di Andy Warhol, Gaitonde oppone un “tutto è profondità, silenzio”. La linea di confine resta sottile ma obbligata: lo dimostrano le opere calligrafiche e il recupero della grammatica zen. L’esigenza era la medesima degli espressionisti astratti, ma anche se Kline utilizzò i segni calligrafici come supporto, il suo gesto si appropria del segno e i neri calano come architravi di un pensiero che è tutto dell’io. Al contrario Gaitonde sembra presupporre un codice preventivo, una sintassi nella quale, per ottenere la contemplazione, l’io va a scomparire nell’atto stesso della nominazione.

Non che l’Occidente non sia stato tentato da una simile soluzione, come la “catena dei significanti” di Lacan parrebbe dimostrare.

IMG_6653Oriente e Occidente s’incontrano però proprio nella necessità di una critica a questo annullamento: sarà il pensiero freudiano a legiferare dei due “eventi” del pensiero, quei principi di realtà e di piacere uniti nel pensiero del bambino e che l’Oriente tende a scindere. In questo senso andava lo stesso Klee, le sue sagome narrano la scissione, la regressione: favole per adulti di adulti in piena patologia, ma anche favole che riconducono residui della memoria alla storia dell’individuo.

Una scissione che le opere tantriche di Gaitonde vivono con fatica: i suoi teleri oro cupo e rosso indiano, avviano a un distacco e a un’immediatezza che annullano i confini dell’arte. Queste sindoni zen conducono alle energie dell’universo, sì ma per la via della sfiducia nell’atto intellettivo. Eros e pensiero separati in casa (nel corpo): non furono questi gl’inizi dell’avventura di Gaitonde. Solitaria ma capace di “prendere”.

 

V.S. GAITONDE. Pittura come processo, pittura come vita

A cura di Sandhini Poddar, curatrice aggiunta, Solomon R. Guggenheim Museum, con Amara Antilla, Assistant Curator, Solomon R. Guggenheim Museum

3 ottobre 2015 - 10 gennaio 2016

The Peggy Guggenheim Collection

www.guggenheim-venice.it

 

(Mario Cancelli)


Il video dell'incontro “Il sinodo visto da vicino” con Giacomo Bertolini

IMG_2402A leggere i giornali - quasi tutti - il copione era già scritto. Una lotta senza esclusione di colpi, anche se con modi curiali (ma a volte neanche tanto), tra conservatori e progressisti. Dall’esterno era tutto chiarissimo. E dall’interno? Cosa dice chi il Sinodo dei vescovi sulla famiglia l’ha vissuto dal di dentro, partecipando giorno dopo giorno ai lavori? Di qui il titolo dell’incontro di martedì 10 novembre, nella sala del redentore della parrocchia di Santa Croce: “Il sinodo visto da vicino. La bellezza della famiglia e le sfide del tempo presente”. Promotrice l’Associazione culturale Rosmini, relatore Giacomo Bertolini, docente di Diritto canonico nell’Università di Padova ma soprattutto esperto e coadiutore del Segretario speciale del Sinodo.

Vi proponiamo il video dell’incontro del 10 novembre, realizzato da Emanuele Fornasier.

 

Così Eugenio Andreatta su La Difesa del popolo ha raccontato l’incontro con Giacomo Bertolini.

 

La Difesa del Popolo, domenica 22 novembre 2015, p. 17, Nessun compromesso e Spirito santo all’opera (E. Andreatta)

 

A leggere i giornali - quasi tutti - il copione era chiaro. Una lotta senza esclusione di colpi, anche se con modi curiali (ma a volte neanche tanto), tra conservatori e progressisti. Dall’esterno era tutto chiarissimo. E dall’interno? Cosa dice chi il Sinodo dei vescovi sulla famiglia l’ha vissuto dal di dentro, partecipando giorno dopo giorno ai lavori? Di qui il titolo dell’incontro di martedì 10 novembre, nella sala del redentore della parrocchia di Santa Croce: “Il sinodo visto da vicino. La bellezza della famiglia e le sfide del tempo presente”. Promotrice l’Associazione culturale Rosmini, relatore Giacomo Bertolini, docente di Diritto canonico nell’Università di Padova ma soprattutto esperto e coadiutore del Segretario speciale del Sinodo. Ecco alcune parole che mi hanno colpito di questo incontro.

Adolescenza. Bertolini citava un intervento di un padre al secondo o terzo giorno di assemblea. «Dobbiamo passare da una Chiesa di adolescenti che vuole vedere puniti i suoi figli che sbagliano a una Chiesa di padri e madri, che con maturità guardano ai loro figli», cercando di ottenere il meglio da loro. Non una “performance” perfetta, ma ciò che concretamente in quel momento riescono a dare.

Sfide. Un termine che non tramonta mai nell’ecclesialese, ma non al Sinodo. «Togliamolo, sa troppo da contrapposizione», ha proposto un Padre sinodale, meglio parlare di problemi gravi. Nella relazione finale è stato usato con parsimonia, il paragrafo 25 (“alcune sfide”). parla della poligamia e dei matrimoni combinati.

Bellezza. «Tutta la seconda parte della relazione finale è un’esaltazione della bellezza dell’esperienza famigliare, in questo i padri sono stati assolutamente concordi», con un linguaggio anche in vari punti più fresco e nuovo.

Divorziati. La spinosa questione dell’accesso ai sacramenti dei divorziati non ha visto prevalere né le posizioni oggettiviste più conservatrici, né coloro che si battevano per un’ammissione automatica o quasi. «Si è scelta una via di approfondimento morale», ha detto Bertolini, «di ascolto delle situazioni reali». E quindi di…

…discernimento. Forse il termine che meglio ha contraddistinto il Sinodo. No alle scorciatoie, le situazioni sono diverse caso per caso, bisogna avere la pazienza di accompagnare le persone aiutandole a renderle consapevoli della propria storia.

Gesuita. Un papa tifoso, sbilanciato in senso aperturista? In realtà papa Francesco, che per un mese ha fatto la vita del padre sinodale – dall’ascolto in aula alla fila alla macchinetta del caffè – ha avuto un sommo rispetto del dialogo in aula, non lasciando mai trapelare, neanche da un’espressione del viso, il suo parere sul dibattito in corso.

Compromesso. Questo invece al Sinodo non c’è proprio stato. «Non si è trattato di un accomodamento tra diverse fazioni, l’impressione è che invece l’’intero Sinodo», dimostrando un’unità su cui pochi avrebbero scommesso, «abbia fatto un passo di maturità, su cui hanno concordato tutti, anche i circuli più sbilanciati in un senso o nell’altro».

Questioni aperte. Non poche, Bertolini stesso ne ha indicate varie. Una tra tutte: se l’Eucaristia è il corpo di Cristo, la Chiesa non lo è da meno. Come si può rifiutare il sacramento a delle persone, che pur in una situazione oggettivamente irregolare, sono incorporate in Lui? Il Sinodo non ha risposto. Ma c’è una saggezza anche nel lasciare aperte le questioni a cui non si è ancora pronti a rispondere.

Spirito Santo. Alla fine, il suo intervento si è visto. «Nonostante i modi con cui è stato presentato, per me il Sinodo è stato la possibilità di fare una vera esperienza ecclesiale, di vedere lo Spirito Santo all’opera».