di Giovanni Scarpa. Ciò che farò in questa prima riga sarà scusarmi preventivamente coi lettori per l’ingenuità del criterio che soggiace al breve scritto che segue. Quello cioè, profondamente freudiano, che vede nascosta nella remota biografia di un autore la sorgente, la cagione d’essere dei suoi personaggi letterari. E tuttavia nessuno più di Peter Pan mi ha spinto, o per meglio dire condotto a volo, verso il suo creatore.
I reali motivi che hanno fatto nascere, nella mente e nella penna dello scozzese James Matthew Barrie l’impavido capo dei bimbi sperduti, rimarranno naturalmente celati agli occhi dei comuni mortali come l’orologio nel ventre del coccodrillo; eppure quattro suggestivi spunti dalla vita di questo autore mi hanno aiutato ad avvicinarmi a Peter, a poterlo sbirciare di nascosto. E se alcuni di essi paiono pieni di gioia come sorrisi dai denti da latte, altri sono invece tristi da far morire una fata:
1) C’è un velo delicato di tristezza che spesso accompagna Peter, e lo si trova in frasi soffuse come questa: «si diceva ad esempio che vivesse con le fate o che, quando un bambino moriva, lui lo accompagnava un po’ affinché non avesse paura».
Anche la vita dell’autore ci mostra spesso tracce di una sofferenza discreta, ma decisiva. Un lutto in particolare, avviene quando James ha 7 anni: suo fratello maggiore David muore improvvisamente lasciando nel cuore della madre un vuoto incolmabile. La mamma non fa altro che pensare al figlio defunto, pare aver dimenticato gli altri, pare aver dimentica anche lui, il più piccolo. Ricorda Barrie di quel periodo: «Mia sorella mi disse di andare nella stanza di mia madre e di dirle che aveva anche un altro bambino. Entrai eccitato, ma la stanza era buia […]. Udii una voce sconsolata, mai prima d’allora così sconsolata, che mi disse, “Sei tu?” credo che il tono mi ferì perché non risposi. Poi la voce, ancora più ansiosamente, ripeté “Sei tu?” pensai che stesse rivolgendosi al ragazzo morto e dissi con vocina derelitta, “No, non è lui, sono solo io” allora udii uno scoppio di lacrime».
Un ricordo sconfortante, indelebile, che non può non dar testimonianza al contraddittorio rapporto che Peter Pan intrattiene con la figura materna: la cerca disperatamente per sé e i compagni in Wendy, la odia dal più profondo del cuore per averlo sostituito con un altro bimbo, per averlo escluso dalla sua vita sbarrando la finestra di casa (straordinario è a proposito il capitolo L’ora di Chiusura in Peter Pan nei giardino di Kensington). Sia Peter che Berrie sono quindi bambini dimenticati, sperduti, e l’eterna giovinezza del primo rappresenta forse quella eternamente mancata del secondo: un’assenza che prende finalmente corpo, che ora può godere nella fantasia la sua libertà selvaggia, la sua radiosa spensieratezza.
2) A 35 anni finalmente James sposa l’attrice Mary Ansell, dalla quale però non riesce ad avere figli.
È forse per questo che mi è parso di vedere in personaggi come Peter, come i bambini sperduti, i luoghi di una speciale paternità che, come vedremo, troverà misteriosamente compimento.
3) Due anni dopo infatti, conosce Sylvia Llewlyn Davies, “la più bella creatura che io abbia mai visto” e, nonostante il felice matrimonio di lei e i suoi cinque figli, se ne innamora teneramente. È dall’amicizia profonda nata tra lui e questi bambini che sembra davvero prendere forma il volto di Peter. Scrive infatti nel 1928 a proposito di questi nuovi piccoli amici: “Ho creato Peter Pan strofinandovi violentemente insieme, come fanno i selvaggi che producono una fiamma”. Nonostante il complesso rapporto con i genitori (la gelosia del marito di Sylvia soprattutto), Barrie nutre un grandissimo affetto per loro: li porta a spasso per i giardini di Londra, li accudisce come può. E quando all’inizio del Novecento Sylvia e il marito muoiono improvvisamente, non mancherà di adottarli e crescerli come un buon padre.
4) Nel 1912, quando Berrie decide di realizzare una statua di Peter Pan da mettere nei giardini di Kensington, consegna allo scultore Frampton alcune foto del piccolo Michael Llewlin Davies in posa. Eccoci allora di fronte al volto reale del bimbo sperduto, al volto del Peter Pan a cui Barrie ha riaperto la finestra, che ha adottato dopo la morte dei genitori. Ogni serio appassionato dell’Isola che non c’è, ogni piccolo ammiratore di Capitan Uncino, di Spugna, Trilli o Giglio Tigrato, dovrebbe conoscere questo volto di ragazzo, questo volto deciso, segnato dalla tragedia, salvato dall’amore di un nuovo papà.
Luce e ombra dunque convivono in Peter Pan: la gioia della paternità, la bellezza dell’infanzia, come l’assenza di una maternità piena, il dramma della crescita. Questa nebulosa di sentimenti contrastanti mi ha ricordato per molti aspetti il famoso tema del “nido” pascoliano: la tenerezza della famiglia, la tragedia, lo struggimento, la bellezza della natura.
Forse anche perché è proprio un “nido” a condurre spesso sopra le acque il piccolo Peter, ma lascio al lettore il piacere di scoprire come e dove.
E forse proprio perché ogni volta che crediamo di conoscerlo, ci ritroviamo in mano solo la sua ombra, Peter Pan è l’immagine più riuscita della nostra infanzia, l’accadere sempre lieto di un ricordo prezioso. Conoscerlo o riscoprirlo, leggendo le pagine di Barrie, è un po’ come aprire di sera la finestra della nostra stanza e fissare a lungo una stella: la seconda a destra.
P.S. Consiglio vivamente l’edizione edita da Lavieri, Peter Pan, Barrie-Frezzato, di cui sono riportate qui alcune immagini.
Grazie per questo articolo; l’ho davvero apprezzato da ogni punto di vista.
E sentiti complimenti :*
Giulia
Grazie per questo articolo; l’ho davvero apprezzato da ogni punto di vista.
E sentiti complimenti :*
Giulia