van-gogh-ritratto-reddi Giovanni Scarpa. Chi tra noi non ha mai visto, nel salotto dell’amica delle medie o nella sala d’attesa del dentista borghese, una stampa della famosa Camera da letto di Van Gogh? Qualche appassionato lettore potrà pure vantare una visita al famoso museo di Amsterdam dove ancora vibrano le pennellate dense del pittore dall’orecchio mozzato: beato lui (il visitatore s’intende).

Avrei voluto per questa occasione contare le parole dedicate, sui saggi, i libri e le riviste che ingombrano la mia libreria, al fatidico dipinto e a lui soltanto – anche se sono tre le versioni pittoriche – ma l’ardua impresa avrebbe probabilmente occupato lo spazio di qualche settimana se non più e consumato parimenti le mie già scarse facoltà intellettive, nonché ritardato la mia dilungata carriera universitaria.

Egon-Schiele-ritratto dettaglioOra si dà il caso che a me piaccia assai più di Van Gogh, il pittore viennese Egon Schiele. Sarà perché disegna delle splendide donne nude, sarà perché queste donne nude possiedono una dignità e una tensione figurativa inarrivabile, sarà per il tratto sacrale e drammatico col quale le trasmuta sulla carta, certo è che questo scritto non dovrebbe parlare di donne nude e sono già andato fuori tema (mannaggia a te Schiele e a quei tuoi tre giorni di carcere per atti osceni!)

van gogh roomInsomma, quello a cui volevo arrivare, o da cui volevo partire, è che, dopo aver visto il celebre dipinto Camera da letto dell’artista ad Arles nel 1908, anche il giovane Egon Schiele decide di dipingere la sua, di stanza. Come a sottolineare quella profonda “simpatia” tra i due artisti, quel profondo amore alla vita e quello struggente sentore di morte che domina il loro sguardo, che permea i loro dipinti tra girasoli e volti: physis e thanatos. Due vite intense, brevi, fugaci, luminose come comete: Vincent muore a 37 anni con più di 900 dipinti e mille disegni alle spalle, Egon a 28, con 380 dipinti e 2800 disegni.

Egon-Schiele-Schiele_s-Room-in-NeulengbachTra questa miriade di opere, due stanze d’artista, dunque, due camere da letto che custodiscono quiete e tormento. Perché se i colori caldi, azzurro e marrone, del curato olandese potevano blandire gli occhi e smorzare un poco quel senso d’inquietudine dato dalle prospettive sghembe, i colori freddi, nero e bianco, del viennese, la tendenza chiara alla bidimensionalità, paiono atterrire del tutto l’umore dell’osservatore. Eppure questa a Nuelengbach, è una camera che assomiglia molto a quella di Arles: un letto sulla destra, due sedie, un comodino ingombro; e tuttavia non ci sono porte né finestre: nessuna apertura, nessuna via di fuga. Il giallo epatico del pavimento occupa i tre quarti dello spazio visivo, la prospettiva è rialzata, tutto si verticalizza, cade come i dipinti sull’angolo in alto a sinistra. I profili s’assottigliano: le gambe del comò sono sbarre da galera, il letto scuro una lama, una bara.

Forse per questo, forse perché inquieta troppo, la camera di Egon non finisce nei salotti luminosi, nelle sale d’attesa dei dentisti.

Forse, ecco, se i dipinti di Van Gogh assomigliano ad un vago prurito, quelli di Egon Schiele costituiscono una perfetta, scomoda, carie!