In libreria “Il maestro vetraio”, il secondo romanzo di Alberto Raffaelli

copertina cattura Si intitola “Il maestro vetraio” il nuovo romanzo di Alberto Raffaelli, pubblicato a distanza di due anni dal successo de “L’Osteria senza oste”, opera prima dello scrittore veneto di origini trentine, oltre che imprenditore nel campo della formazione.

Il romanzo, edito da Itaca, vede il ritorno del viceispettore Giovanni Zanca: proprio l’inchiesta dell’Osteria senza oste gli è costata il trasferimento in laguna e ancora una volta per lui, ormai prossimo alla pensione, si apre un nuovo capitolo.

Due sono le indagini affidate al poliziotto: una vicenda di corruzione nei palazzi di Venezia e l’omicidio di una prostituta albanese consumato nell’ambiente dell’immigrazione clandestina. Il cadavere viene ritrovato nella zona industriale di Marghera, nei pressi della vecchia fornace dove il giovane Benedetto Zaccaria, figlio dell’ultimo maestro vetraio di San Marco, sta fondendo i dodici quadri di una maestosa vetrata artistica: dodici scene di vita quotidiana che stanno al centro dei dodici capitoli del romanzo a rappresentare un Giudizio Universale dei nostri giorni. Ed è proprio la fornace di Marghera il palcoscenico in cui tutte le storie si incrociano e trovano una sintesi del tutto imprevista.

«Ho voluto creare un fitto e spero coinvolgente intreccio di storie e personaggi, dal profilo drammatico o ironico, sullo sfondo di una delle città più belle al mondo, ma anche snodo di traffici illegali» racconta Raffaelli. Le vicende si susseguono in un ritmo incalzante fino alla resa dei conti finale, «quando le indagini avranno un esito insospettabile e le tessere della vetrata si completeranno, a comporre uno specchio della realtà contemporanea».

«L’idea mi è nata leggendo una riflessione che papa Francesco fece nel dicembre 2013 sul tema del Giudizio Universale, quando diceva che questo ultimo drammatico giudizio in realtà “è già in atto, incomincia adesso nel corso della nostra esistenza” ed è “pronunciato in ogni istante della vita”, per cui “siamo noi che possiamo diventare in un certo senso giudici di noi stessi, autocondannandoci all’esclusione dalla comunione con Dio e con i fratelli”».

Molteplici le prospettive ideali presenti in controluce tra le righe della narrazione. Il male, anche nelle sue declinazioni più abiette, può essere detto, raccontato senza scandalo nel contesto del suo significato ultimo, del suo destino. Nel romanzo, gli idoli di sempre – usura, lussuria e potere – vengono vissuti attraverso gli occhi di qualcuno che è capace di abbracciare e di amare anche la situazione più disperata.

E ancora: «Con la figura del “Barba”, il personaggio più scorretto, titolare di un bar tabacchi di Marghera crocevia di un traffico di immigrati clandestini» precisa Raffaelli «si evidenzia quella che io chiamo la precedenza del giudizio sull’etica: nel corso del romanzo l’esperienza del vero, diciamo pure la conversione, non avviene in prima battuta a partire da uno sforzo etico ma piuttosto dal riconoscimento di fatti che si impongono, da un atto di giudizio della ragione».

Fra tutti i temi toccati dall’autore, forse i più rilevanti rimangono il perdono e la misericordia, il vero filo rosso del romanzo. Una compresenza di temi che hanno portato l’autorevole critico letterario Elio Gioanola a scrivere «Raffaelli sa coniugare una bella trama con una profonda intenzionalità morale-religiosa, riuscendo con abilità ad intrecciare i molti fili della narrazione senza restarne imbrogliato».

Alberto Raffaelli è nato a Rovereto (TN) nel 1959. Ha studiato a Venezia e vive a Padova. Da alcuni anni dirige la scuola professionale di ristorazione di Valdobbiadene (TV). È autore del romanzo “L’osteria senza oste”.

 

 

www.itacaedizioni.it/alberto-raffaelli

 

Alberto Raffaelli
Il maestro vetraio
Itaca Editore
formato: 14x21 cm
pagine: 272
prezzo: € 15,00
Isbn: 9788852604560
distribuzione: Itacalibri
ordinabile su: b2b.itacalibri.it
web www.itacaedizioni.it/il-maestro-vetraio

 

La recensione del libro sul blog di Eugenio Andreatta

http://www.eugenioandreatta.com/maestro-vetraio-un-giallo-appassionante-non-solo/

 


Milano: i luoghi dell’infinito. Cleofe Ferrari a Casa Testori

Basilica della Passione da via MascagniDelle sue opere afferma: «Per me dipingere è amare e abbracciare la realtà che mi circonda e mi accade, fissarne una traccia che diventi eterna, perché ogni volta che la guardi riaccada un incontro: un’emozione, un’esperienza». Lei è Cleofe Ferrari, pittrice emiliana ormai da tempo residente a Padova, e “Lo stupore nei luoghi dell’infinito” è il titolo della mostra che ha a tema Milano e i suoi luoghi: Duomo, Basiliche viste da scorci urbani, piazze e grattacieli. La mostra sarà inaugurata

lunedì 25 aprile alle 18.00 a Casa Testori
Largo Angelo Testori 13 - Novate Milanese (MI)

con presentazione del critico d’arte Giorgio Grasso. A seguire aperitivo in giardino

La mostra sarà visitabile dal 25 aprile all’8 maggio 2016 con orari mar / ven: 10 -18 sab /dom: 14 -20

Il presentatore della mostra, Giorgio Grasso, è critico e storico dell’arte oltre che stretto collaboratore di Vittorio Sgarbi, già curatore del Padiglione Italia della 54a Biennale di Venezia. Grasso inoltre è stato direttore editoriale della rivista Arterama e dal 1996 al 2002 consulente sottosegretario ai beni culturali.

la piazza dei grattacieli«Che Cleo Ferrari sia riuscita a unire la dote naturale del saper dipingere ad uno studio attento e approfondito, lo si capisce non solo dal richiamo all’impressionismo ma soprattutto dalla sua evoluzione espressionista che traspira dagli ultimi lavori di Monet, in particolare da quelli ben conosciuti delle cattedrali», scrive Grasso nel catalogo della mostra. «Dalle opere pittoriche di Cleo Ferrari si evince una grande capacità tecnica, dove però prevale in modo significativo il movente poetico». «Farsi conquistare da una sua opera», prosegue il critico, «è come immergersi quotidianamente in luoghi dove il paesaggio ha il sopravvento sulle umane vicende. Nulla di meglio che ammirare una sua opera pittorica per sentire la nostra anima diventare un tutt’uno con l’anima dei luoghi da lei visti e trasportati con maestria su tela».

«Cleofe, già familiare alle tecniche dell’acquerello e dei gessetti e successivamente al più tradizionale olio all’acrilico e all’encausto», aggiunge Emanuela Centis, architetto, «fin dall’inizio ha individuato la forma espressiva della sua personalità esuberante ed energica in uno stile espressionista materico e gestuale. Le prime opere sono di piccole dimensioni, vere e proprie finestre aperte sulla realtà, nelle quali l’artista esprime il suo amore attento a cogliere la ricchezza che contiene anche il particolare apparentemente modesto, quotidiano. Così racconta con forme e colori il suo incontro con i diversi luoghi che visita o frequenta: Assisi o Gerusalemme, ma anche la sua cara campagna padana e le marine dell’Adriatico. A Cleofe non interessa semplicemente descrivere la realtà che vede, ma desidera raccontare esperienze di incontro personale con luoghi e situazioni».

Duomo di MilanoIn contemporanea alla mostra della pittrice padovana a Casa Testori saranno presenti due sculture dal Sacro Monte di Varallo a titolo di omaggio a Giovanni Testori. L’evento, dal titolo “Arriva il gran teatro montano” è cominciato il 9 aprile e durerà fino all’8 maggio 2016. Una “trasferta” per molti versi straordinaria di due tra le più celebri sculture del Sacro Monte di Varallo a Casa Testori. L’aspetto inedito sta proprio nel vedere per una volta un pezzo di Sacro Monte fuori dal suo naturale contesto. Vederlo da vicino, potervi girare attorno, studiarlo… per i visitatori sarà un’esperienza destinata a sollecitare sguardi inediti, cortocircuiti imprevisti, davanti a questi corpi così audacemente agli antipodi l’uno dall’altro. Un’opportunità unica per festeggiare i 50 anni dall’uscita di quel fondamentale libro di Giovanni Testori che aveva di fatto svelato all’attenzione di un pubblico vasto la grandezza di Gaudenzio Ferrari e il fascino del Sacro Monte di Varallo. Oggi quel libro è tornato in una nuova edizione, curata da Giovanni Agosti, e pubblicata dallo stesso editore di allora, Feltrinelli: ed è altro motivo per cui festeggiare. Il titolo del libro è diventato quasi il claim del Sacro Monte varallino: “Il gran teatro montano”.

Tramonto sulle Dolomiti 80x80 acrilico 2016Cleofe Ferrari nasce a Carpi (MO) il 16 dicembre 1950. Dopo aver svolto gli studi su stilismo di moda a Reggio Emilia, svolge fino al 2008 attività di libera professionista. Nel 1982 consegue la laurea in Psicologia all’Università di Padova. Nel 2008 consegue il diploma al master di Architettura, Arti e Liturgia promossa dalle Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa. Dal 2002 aderisce all’associazione di artisti “il Baglio” e dallo stesso anno partecipa regolarmente alle attività di disegno promosse dall’Associazione “Di.segno” di Padova, di cui dal 2006 è presidente. Nel 2005 partecipa alla mostra “La casa del Dio vicino” allestita nel corso dei lavori del sinodo dei Vescovi a Roma. Nel 2007 partecipa alla mostra di Arte Sacra “Sinfonia dello spazio liturgico” a Padova. Nel 2010 al Caffè Pedrocchi di Padova realizza la mostra collettiva “Stili a confronto”. Nel 2012 sempre al Caffè Pedrocchi partecipa alla mostra collettiva “Omaggio al Guariento” dell’associazione “Art.Tu”. Nel 2013 espone “Il Volto di San Francesco” alla mostra collettiva Scuola della Carità di Padova dell’associazione “Art.Tu”. Nel 2014 espone alla biennale internazionale, Scuola della Carità di Padova, Maison D’Art. Nel 2015/2015 “Personale” alla Maison D’Art di Padova. Dipinge nella tecnica dell’acquarello, gessetto, encausto, acrilico e olio.

Opere, info e contatti www.cleofeferrari.it cleofe.ferrari@libero.it.


Sostieni l'Associazione Rosmini con il 2x1000 per la cultura (novità 2016!)

volantino 2x1000 okNon è il 5x1000. Non è neanche l’8x1000. È il 2x1000 per la cultura (novità dal 2016). Non costa nulla e ti permette di sostenere la cultura nel nostro Paese. Nella dichiarazione dei redditi metti la tua firma per la cultura e scrivi il codice fiscale dell’Associazione culturale Antonio Rosmini:

01879010286

A partire da quest’anno nella dichiarazione dei redditi, oltre all’8 per mille per la Chiesa Cattolica e al 5 per mille per varie realtà sociali, è possibile infatti esprimere la scelta per la destinazione del 2 per mille dell’Irpef in favore di associazioni culturali. Tali scelte non sono alternative tra di loro, possono essere tutte espresse e non costano nulla al contribuente.

Nella scelta del 2 per mille sostieni l’Associazione culturale Antonio Rosmini, mettendo la tua firma nell’apposita casella della dichiarazione dei redditi e inserendo il codice fiscale dell’Associazione che è 01879010286.

 

Per saperne di più http://www.ecnews.it/fisco-lavoro/due-per-mille-irpef-favore-partiti-associazioni-culturali.


Economia, società, finanza: come superare la crisi di tutto il modello

economia-soldi[1]Due economisti estranei al mainstream oggi dominante propongono chiavi di lettura per interpretare l’attuale crisi mondiale. Avverrà all’Agriturismo Collalto di Molvena in provincia di Vicenza con l’incontro

Economia, Società, Finanza: Come superare la crisi di tutto il modello

giovedì 21 aprile 2016 alle ore 20.45

all’Agriturismo Collalto - Via Collalto, 36 Molvena (VI).

Interverranno:

Nino Galloni, economista, già direttore generale del Ministero del Lavoro e attuale Sindaco Inail, autore del libro: L’economia imperfetta - Catastrofe del capitalismo o rivincita del lavoro?, ed. Novecento Media

Giovanni Passali, analista dei mercati finanziari, progettista e sviluppatore di sistemi di trading per mercati finanziari ad alto rischio, autore assieme a Galloni del libro: Eurocidio, ed. Associazione Copernico.

Modererà l’incontro Giovanni Salviati - giornalista e dottorando all’Università di Padova

È gradita la prenotazione 345-1004236 alessandroballardin@gmail.com

Al termine della serata sarà offerto un buffet.

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Ma chi è davvero Peter Pan?

peter pan 002di Giovanni Scarpa. Ciò che farò in questa prima riga sarà scusarmi preventivamente coi lettori per l’ingenuità del criterio che soggiace al breve scritto che segue. Quello cioè, profondamente freudiano, che vede nascosta nella remota biografia di un autore la sorgente, la cagione d’essere dei suoi personaggi letterari. E tuttavia nessuno più di Peter Pan mi ha spinto, o per meglio dire condotto a volo, verso il suo creatore.

I reali motivi che hanno fatto nascere, nella mente e nella penna dello scozzese James Matthew Barrie l’impavido capo dei bimbi sperduti, rimarranno naturalmente celati agli occhi dei comuni mortali come l’orologio nel ventre del coccodrillo; eppure quattro suggestivi spunti dalla vita di questo autore mi hanno aiutato ad avvicinarmi a Peter, a poterlo sbirciare di nascosto. E se alcuni di essi paiono pieni di gioia come sorrisi dai denti da latte, altri sono invece tristi da far morire una fata:

peter pan 0071) C’è un velo delicato di tristezza che spesso accompagna Peter, e lo si trova in frasi soffuse come questa: «si diceva ad esempio che vivesse con le fate o che, quando un bambino moriva, lui lo accompagnava un po’ affinché non avesse paura».

peter pan 008Anche la vita dell’autore ci mostra spesso tracce di una sofferenza discreta, ma decisiva. Un lutto in particolare, avviene quando James ha 7 anni: suo fratello maggiore David muore improvvisamente lasciando nel cuore della madre un vuoto incolmabile. La mamma non fa altro che pensare al figlio defunto, pare aver dimenticato gli altri, pare aver dimentica anche lui, il più piccolo. Ricorda Barrie di quel periodo: «Mia sorella mi disse di andare nella stanza di mia madre e di dirle che aveva anche un altro bambino. Entrai eccitato, ma la stanza era buia [...]. Udii una voce sconsolata, mai prima d’allora così sconsolata, che mi disse, “Sei tu?” credo che il tono mi ferì perché non risposi. Poi la voce, ancora più ansiosamente, ripeté “Sei tu?” pensai che stesse rivolgendosi al ragazzo morto e dissi con vocina derelitta, “No, non è lui, sono solo io” allora udii uno scoppio di lacrime».

peter pan 004Un ricordo sconfortante, indelebile, che non può non dar testimonianza al contraddittorio rapporto che Peter Pan intrattiene con la figura materna: la cerca disperatamente per sé e i compagni in Wendy, la odia dal più profondo del cuore per averlo sostituito con un altro bimbo, per averlo escluso dalla sua vita sbarrando la finestra di casa (straordinario è a proposito il capitolo L’ora di Chiusura in Peter Pan nei giardino di Kensington). Sia Peter che Berrie sono quindi bambini dimenticati, sperduti, e l’eterna giovinezza del primo rappresenta forse quella eternamente mancata del secondo: un’assenza che prende finalmente corpo, che ora può godere nella fantasia la sua libertà selvaggia, la sua radiosa spensieratezza.

peter pan 0012) A 35 anni finalmente James sposa l’attrice Mary Ansell, dalla quale però non riesce ad avere figli.

È forse per questo che mi è parso di vedere in personaggi come Peter, come i bambini sperduti, i luoghi di una speciale paternità che, come vedremo, troverà misteriosamente compimento.

3) Due anni dopo infatti, conosce Sylvia Llewlyn Davies, “la più bella creatura che io abbia mai visto” e, nonostante il felice matrimonio di lei e i suoi cinque figli, se ne innamora teneramente. È dall’amicizia profonda nata tra lui e questi bambini che sembra davvero prendere forma il volto di Peter. Scrive infatti nel 1928 a proposito di questi nuovi piccoli amici: “Ho creato Peter Pan strofinandovi violentemente insieme, come fanno i selvaggi che producono una fiamma”. Nonostante il complesso rapporto con i genitori (la gelosia del marito di Sylvia soprattutto), Barrie nutre un grandissimo affetto per loro: li porta a spasso per i giardini di Londra, li accudisce come può. E quando all’inizio del Novecento Sylvia e il marito muoiono improvvisamente, non mancherà di adottarli e crescerli come un buon padre.

peter pan 0034) Nel 1912, quando Berrie decide di realizzare una statua di Peter Pan da mettere nei giardini di Kensington, consegna allo scultore Frampton alcune foto del piccolo Michael Llewlin Davies in posa. Eccoci allora di fronte al volto reale del bimbo sperduto, al volto del Peter Pan a cui Barrie ha riaperto la finestra, che ha adottato dopo la morte dei genitori. Ogni serio appassionato dell’Isola che non c’è, ogni piccolo ammiratore di Capitan Uncino, di Spugna, Trilli o Giglio Tigrato, dovrebbe conoscere questo volto di ragazzo, questo volto deciso, segnato dalla tragedia, salvato dall’amore di un nuovo papà.

peter pan 006Luce e ombra dunque convivono in Peter Pan: la gioia della paternità, la bellezza dell’infanzia, come l’assenza di una maternità piena, il dramma della crescita. Questa nebulosa di sentimenti contrastanti mi ha ricordato per molti aspetti il famoso tema del “nido” pascoliano: la tenerezza della famiglia, la tragedia, lo struggimento, la bellezza della natura.

Forse anche perché è proprio un “nido” a condurre spesso sopra le acque il piccolo Peter, ma lascio al lettore il piacere di scoprire come e dove.

E forse proprio perché ogni volta che crediamo di conoscerlo, ci ritroviamo in mano solo la sua ombra, Peter Pan è l’immagine più riuscita della nostra infanzia, l’accadere sempre lieto di un ricordo prezioso. Conoscerlo o riscoprirlo, leggendo le pagine di Bpeter pan 005arrie, è un po’ come aprire di sera la finestra della nostra stanza e fissare a lungo una stella: la seconda a destra.

 

P.S. Consiglio vivamente l’edizione edita da Lavieri, Peter Pan, Barrie-Frezzato, di cui sono riportate qui alcune immagini.


Quali esterni per le camere di Van Gogh e Schiele? Cancelli risponde a Scarpa

roomsdi Mario Cancelli. Raccogliendo l’invito contenuto nel recente intervento sul blog di Giovanni Scarpa, anche Mario Cancelli entra nelle camere da letto di Vincent Van Gogh ed Egon Schiele. E facendosi aiutare dalla tecnica delle libere associazioni ci chiede quale esterno potremmo immaginare per ciascuna delle due stanze. Se mai un esterno fosse pensabile.

 

Ho letto con interesse il contributo di Giovanni Scarpa sulle camere da letto di Van Gogh e Schiele. Trovo in primo luogo condivisibile l’analisi cromatica. Ciò che accomuna i due ambienti è poi senz’altro un senso di rifugio e di sofferenza. Perché tanto interesse per una solitaria stanza? Il letto testimonia ristrettezza, non solo economica. Letto a una piazza, si badi, quando i letti dovrebbero essere sempre a due piazze. Tali da dare rappresentanza al pensiero dell’altro.

Un altro che sia presente, come nella Venere di Tiziano, o no. L’altro possibile.

vangDirei che il testo di Van Gogh dà corpo a una sorta di angoscia quasi persecutoria, quello che si pre-sente più che il riposo è un terremoto o un maremoto. L’opera di Schiele dà luogo a uno spazio più saldo, in apparenza. Qualcosa di claustrofobico si evince in quel nitore e in quei contrasti. Sul letto ci si può stendere, sulla sedia appoggiarsi. Ma Schiele dovrà sforzarsi, incaponirsi testardo, aiutandosi con il delirio per allargare quel pavimento, quasi un tappeto mistico per dilatare la occlusiva dimora.

il_570xN.926624387_q6e5[1]Quel che potrebbe aiutare è la tecnica delle libere associazioni. Mettiamola così: quale esterno immaginereste per le due stanze, se mai un esterno fosse pensabile?

Io risponderei così.

Per Van Gogh il famoso campo con i neri minacciosi corvi; per Schiele nessuno spazio se non quello della pagina sulla quale un segno, simile a una sadica tecnica yoga, dà luogo, in tutta “l’apertura” che si vuole - mai sufficiente per i corpi che ospita, a forme che si torcono, a un tratto  che rende spasmo il più dolce contorno.

Eccole, le “belle stanze”: due forme di inferno psichico. A tendenza paranoide il primo, ossessiva il secondo. Non entrare, dice sempre il primo: guarda che se entri ti costerà molto caro, il secondo.

 

Leggi il post di Giovanni Scarpa Schiele e Van Gogh, camere da letto a confronto.


Il racconto della prima mondiale di "Armonie giottesche" in Cappella degli Scrovegni

Marcelo Cesena foto Antonio Naia (2)«L’arte di Giotto è perfetta così, non serve aggiungere niente». Marcelo Cesena, compositore brasiliano, ha appena completato il concerto più emozionante della sua vita. Un’ora a tu per tu con gli affreschi della Cappella degli Scrovegni, con un pubblico selezionato di autorità ed esperti per la prima mondiale di “Armonie giottesche”, opera in dodici movimenti, ognuno dei quali ispirato a una singola scena degli affreschi. Il tutto la sera di lunedì 4 aprile, giorno che nell’anno 2016 coincide con la festa dell’Annunciazione, alla quale è dedicato il capolavoro del maestro fiorentino.

Se l’arte di Giotto è perfetta, ciò non significa però che non necessiti di essere raccontata in modi sempre nuovi. «Quando nella primavera del 2014 sono stato a Padova per la prima volta, il mio amico Filippo Stoppa, giovane architetto padovano, mi ha invitato in Cappella. A dire il vero non avevo molta voglia, ero stanco, ma poi ho accettato. E quando sono entrato è stato un colpo di fulmine. Mi sono subito innamorato di quest’opera. E ho capito che dovevo parlarne a tutti, anche quelli – e sono ancora moltissimi – che non conoscono questi affreschi unici».

Così in oltre un anno e mezzo di lavoro è nata «Armonie giottesche», la suite che va dalla promessa, all’attesa, alla nascita di Gesù, alle scene della sua vita pubblica, passione, morte e resurrezione per concludersi con il grandioso giudizio finale. Marcelo, introdotto da brevi brani letti dall’attore Matteo Bonanni, al pianoforte alterna momenti di lirismo con altri di intensa drammaticità, con una continuità di temi ed elementi melodici che innervano tutto il concerto. Una musica sì di presa immediata e di accentuato lirismo, ma solo apparentemente facile, che va ascoltata più volte per coglierne la complessa struttura e i molteplici richiami interni.

160404 Marcelo Cesena Scrovegni foto Antonio Naia

Il concerto era promosso dall’Associazione Rosmini con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nell’ambito del bando Culturalmente 2015, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova - Settore Cultura, Turismo, Musei e Biblioteche e con il concorso di Valentini Poliambulatorio Centro medico e Cooperativa sociale Giotto. Così l’ha introdotto l’assessore alla Cultura del Comune di Padova Matteo Cavatton: «L’opera del maestro Cesena va nella direzione giusta, portare Giotto a tutto il mondo, la stessa direzione che abbiamo intrapreso chiedendo che la Cappella degli Scrovegni sia inserita tra le opere patrimonio dell’umanità dell’Unesco». «La composizione di Cesena riesce a raccontare in modo nuovo la bellezza di questo inimitabile cielo azzurro che ci sovrasta», aggiunge Matteo Segafredo, consigliere di amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, «siamo lieti di poter continuare nella nostra azione di mecenatismo per operazioni culturali di questa portata».

Le ultime parole sono ancora per Cesena. «Ognuno di voi potrebbe descrivere meglio di me ogni singola scena di questo capolavoro, ma una cosa mi è chiara: la grandezza di Giotto non è solo nella sua tecnica, ma in colui che ha ispirato Giotto e come lui moltissimi artisti di ogni epoca: il mondo ha bisogno di questa bellezza, della speranza che Giotto ha cosi magistralmente comunicato». Il concerto verrà riproposto per la popolazione il 10 giugno al conservatorio Pollini e il 18 giugno in un concerto all’aperto in piazzetta Conciapelli. Il tutto si potrà seguire dal sito www.concertogiotto.com, così come sulla pagina Facebook Armonie Giottesche e sugli account Instagram @armoniegiottesche e Twitter @giottesche.


Schiele e Van Gogh, camere da letto a confronto

van-gogh-ritratto-reddi Giovanni Scarpa. Chi tra noi non ha mai visto, nel salotto dell’amica delle medie o nella sala d’attesa del dentista borghese, una stampa della famosa Camera da letto di Van Gogh? Qualche appassionato lettore potrà pure vantare una visita al famoso museo di Amsterdam dove ancora vibrano le pennellate dense del pittore dall’orecchio mozzato: beato lui (il visitatore s’intende).

Avrei voluto per questa occasione contare le parole dedicate, sui saggi, i libri e le riviste che ingombrano la mia libreria, al fatidico dipinto e a lui soltanto - anche se sono tre le versioni pittoriche - ma l’ardua impresa avrebbe probabilmente occupato lo spazio di qualche settimana se non più e consumato parimenti le mie già scarse facoltà intellettive, nonché ritardato la mia dilungata carriera universitaria.

Egon-Schiele-ritratto dettaglioOra si dà il caso che a me piaccia assai più di Van Gogh, il pittore viennese Egon Schiele. Sarà perché disegna delle splendide donne nude, sarà perché queste donne nude possiedono una dignità e una tensione figurativa inarrivabile, sarà per il tratto sacrale e drammatico col quale le trasmuta sulla carta, certo è che questo scritto non dovrebbe parlare di donne nude e sono già andato fuori tema (mannaggia a te Schiele e a quei tuoi tre giorni di carcere per atti osceni!)

van gogh roomInsomma, quello a cui volevo arrivare, o da cui volevo partire, è che, dopo aver visto il celebre dipinto Camera da letto dell’artista ad Arles nel 1908, anche il giovane Egon Schiele decide di dipingere la sua, di stanza. Come a sottolineare quella profonda “simpatia” tra i due artisti, quel profondo amore alla vita e quello struggente sentore di morte che domina il loro sguardo, che permea i loro dipinti tra girasoli e volti: physis e thanatos. Due vite intense, brevi, fugaci, luminose come comete: Vincent muore a 37 anni con più di 900 dipinti e mille disegni alle spalle, Egon a 28, con 380 dipinti e 2800 disegni.

Egon-Schiele-Schiele_s-Room-in-NeulengbachTra questa miriade di opere, due stanze d’artista, dunque, due camere da letto che custodiscono quiete e tormento. Perché se i colori caldi, azzurro e marrone, del curato olandese potevano blandire gli occhi e smorzare un poco quel senso d’inquietudine dato dalle prospettive sghembe, i colori freddi, nero e bianco, del viennese, la tendenza chiara alla bidimensionalità, paiono atterrire del tutto l’umore dell’osservatore. Eppure questa a Nuelengbach, è una camera che assomiglia molto a quella di Arles: un letto sulla destra, due sedie, un comodino ingombro; e tuttavia non ci sono porte né finestre: nessuna apertura, nessuna via di fuga. Il giallo epatico del pavimento occupa i tre quarti dello spazio visivo, la prospettiva è rialzata, tutto si verticalizza, cade come i dipinti sull’angolo in alto a sinistra. I profili s’assottigliano: le gambe del comò sono sbarre da galera, il letto scuro una lama, una bara.

Forse per questo, forse perché inquieta troppo, la camera di Egon non finisce nei salotti luminosi, nelle sale d’attesa dei dentisti.

Forse, ecco, se i dipinti di Van Gogh assomigliano ad un vago prurito, quelli di Egon Schiele costituiscono una perfetta, scomoda, carie!