di Giovanni Scarpa.

Cattura[1]L’arte, tutta letteraria, della descrizione, del dire “su” o “di”, ha certamente avuto nella penisola italica il suo più grande interprete in Carlo Emilio Gadda con buona pace, o almeno si spera, dell’agguerrito Calvino. Paradossale sorte della letteratura dunque, trovare in un ingegnere il degno erede al suo alto trono (esegesi forse magistrale della saga aladdinesca ed arturiana nonché topos, che dir si voglia, del povero-re). Ora, se c’è una branca della “descrizione” che da tempo si era perduta (e penso ad Omero o al Vasari, tra scudi d’Achille e Cristi di Donatello) è quella dell’Ekphrasis: la descrizione dell’opera d’arte. Ingrato compito, nonché ardito, quello di “dipingere con la lettera”, questo fenomeno ha spesso trovato nella cosiddetta “filosofia dell’arte” un confortevole refugium peccatorum, una più placida tenzone narrativa (senza offesa a Panofsky o Gombrich…).

Che senso ha più oggidì cimentarsi in questa assurda impresa, quando basta chiedere al signor Google? Quando la signora Jpg ci può far vedere subito tutto ciò che vogliamo?

Eppure ecco, per grazia, una splendida e raffinata Ekphrasis contemporanea, che mi capita di leggere tra le pagine del famoso Pasticciaccio gaddiano. Un sofisticato ma brioso elogio al potere del Logos, al bonario e rassicurante dominio della Parola, che senza indugio ora consegno agli innumerevoli lettori di questo blog:

 

Michelangelo_Buonarroti_Tondo_Doni[1]– La luce, in Italia, è madre agli alluci: e se uno è un pittore italiano non ischerza, bah, come non ischerzò il Manieroni alli Du Santi, né con la luce né con gli alluci. Il metatarso di San Giuseppe s’è peduncolato di inimitabile alluce nel tondo michelangiolano della Palatina (Sacra Famiglia): il qual ditone, per una porzione minima invero, ha tegumento pittorico dal ditoncello della Sposa: una luce livida e pressoché surreale, o escatologica forse, propone l’Idea-Pollice, altamente incarnandola vale a dire ossificandola, a’ primi piani del contingente: e la recupera subito a’ metafisici livori dell’eternità. Il metatarso medesimo protubera pollice pedagno rivale del michelangiolano e palatino (a signiferare il miracolo, o meglio l’audicolo della castità virile) nei Sacri Sponsali dell’Urbinate oggi a Brera. E il dito mastro, pur disunito da’ ditonzoli, alla radice l’è speronato e nocchiuto: e di poi converge all’indentro quasi obbligato dalla gotta o dalla costrizione abituale d’una calzatura momentaneamente dimessa, o direi domum relapsa come troppo fetida per l’ora delle nozze. –

 

La descrizione continua per diverse pagine in una sorta di divertissement che pare una bulimica evacuazione verbale, smodata ma accurata al limite dell’erudizione (c’est Gadda). Pagine ricche di letteratura, di creatività, che meriterebbero un posto speciale in qualche bizzarro libro d’arte.