Che la figura tatuata di Queequeg nel Moby Dick di Melville, incarni l’intrigante esotismo fascinoso e terribile del selvaggio, l’innocenza montaigneana dell’uomo naturale, non è certo cosa sulla quale vale la pena tornare a discutere. Si potrebbe forse enfatizzare il suo indispensabile coinvolgimento nella vicenda narrata: la sua fraterna amicizia con Ismaele, l’abilità di ramponiere, altruismo impressionante… Ma nemmeno di questo parleremo. Perché se c’è un luogo del romanzo che ha catturato inesorabilmente la mia curiosità è il capitolo diciottesimo a lui dedicato: His mark [il suo segno].
Dopo un bizzarro scambio di battute tra i capi barca, viene chiesto al Nostro di apporre la sua firma o un suo segno sul contratto e si legge allora: «presa la penna che gli veniva offerta, riprodusse nella carta, nel posto appropriato, l’esatta copia di una bizzarra forma rotonda [an exact counterpart of a queer round figure] che aveva tatuata sul braccio».
La maggior parte delle edizioni esistenti riportano quindi l’immagine di una piccola croce greca.
Ed è evidente già ad una prima occhiata come il segno in questione, la mark di Queequeg, non possa essere tale, tuttavia in nota il curatore della versione Feltrinelli A. Ceni giustamente precisa: «la croce stampata nella prima edizione americana e in seguito sempre più o meno riprodotta in ogni altra edizione successiva e ovunque adottata, non è “una bizzarra forma rotonda” e fu probabilmente impiegata dal primo tipografo in sostituzione delle figura che Melville aveva disegnato nel manoscritto».
La questione si fa intrigante: Melville nel suo manoscritto ha riprodotto il mark, la firma di Queequeg (nonché il suo tatuaggio), che poi, già dalla prima edizione, non è stato adottato. Qual era questo segno? Cosa rappresentava realmente?
Anche volendone ammettere una versione curvilinea, rimane inconcepibile la possibilità che una qualsiasi croce fosse tatuata sul braccio eretico del ramponiere, perciò il primo editore deve aver scelto questo simbolo tipografico per comodità di stampa.
Nel testo di C. Caramello dell’83 intitolato Silverless mirrors: book, self and postmodern american fiction, nella sezione dedicata al capitolo in questione si legge: «this mark copied from the indecipherable and indeed imaginary text of Queequeg’s body is forever lost to us». Sembrerebbe quindi che l’originale manoscritto di Melville sia andato definitivamente perduto (clichés della filologia moderna).
Tuttavia in alcune recenti versioni del testo, basti vedere l’edizione 2015 curata da Bishop per la casa editrice Dover, il mark di Queequeg si trasforma in una sorta di simbolo dell’infinito.
E già nel film Moby Dick del ’56, questa ipotesi si era trasformata in opportunità scenografica quando la cinepresa indugiando sul segno ora a forma di balena, preannunciava l’incontro fatale con Moby Dick.
Tuttavia la scelta grafica del testo e del cinema rimane ingiustificata (almeno da quello che sono riuscito a scoprire fin’ora…).
Che abbiano trovato il manoscritto originale con il mark disegnato da Melville? Se sì, allora perché non viene esplicitato almeno in nota data l’importanza che il simbolo ha nel testo? Dico importanza, perché questo è l’unico “ripiego” grafico non letterario che il racconto iper-descrittivo di Melville si concede. Avrebbe potuto benissimo descriverlo minuziosamente, come descrive la sagola o il cervello del capodoglio nei successivi capitoli, invece lo disegna.
Se dunque il disegno edito in queste versioni fosse quello realizzato da Melville, il mio scritto chiuderebbe qui, ma se così non fosse, mi si conceda allora una (certamente superflua) ipotesi alternativa.
La suggestiva proposta di Sanborn, che la figura di Queequeg sia stata ispirata da quella di Tupai Cupa ritratto nel volume The New Zealanders edito nel 1830, sembra molto convincente (problema affrontato anche nel libro Tattooing the world di Juniper Ellis). Il volto del neozelandese, da egli stesso disegnato, avrebbe così certamente fornito uno spunto originale allo scrittore americano. Perché non supporre allora che, in analogia con il volto, il simbolo utilizzato dal ramponiere fosse una sorta di “spirale” moko? La figura sarebbe conforme alle caratteristiche di circolarità e bizzarria fornite dallo scrittore e potrebbe benissimo trovarsi sul braccio di Queequeg. Perché altrimenti utilizzare il simbolo dell’infinito non usuale tra i tatuaggi tribali?
Il segno dal canto mio rimane ancora misterioso, un unico segno come un rampone scagliato dal primo rematore che ha catturato e cattura la mia attenzione… certo la lettura continua, Achab sale a bordo e si parte. Ma su quel braccio, quel robusto braccio da ramponiere, rimane ancora un vuoto.
Vogatori dell’immaginario, aiutatemi a colmarlo, chissà che non tocchi a voi l’oncia d’oro spagnolo fissata dal capitano sull’albero maestro.
(Giovanni Scarpa)