Dialogo tra il rabbino Mark Moshe Goldfeder, professore di diritto ebraico, Università di Emory, Georgia, USA e padre Mario Cucca (ofm cap), professore di Esegesi dell’Antico Testamento, Pontificia Università Gregoriana. Introduce Andrea Pin, professore di diritto pubblico comparato, Università di Padova
Giovedì 12 marzo ore 21.00
Oratorio del Redentore, corso Vittorio Emanuele II 174, Padova.
I due relatori si confronteranno a partire da alcuni temi chiave: speranza, promessa di Dio ed esperienza di essere popolo.
“Se è vero che è importante approfondire la riflessione teologica attraverso il dialogo, è anche vero che esiste un dialogo vitale, quello dell’esperienza quotidiana. Anzi, senza questo, senza una vera e concreta cultura dell’incontro, che porta a relazioni autentiche, a poco servirebbe l’impegno in campo intellettuale. Anche qui, il Popolo di Dio ha un proprio fiuto e intuisce il sentiero che Dio gli chiede di percorrere.” Dal discorso di Papa Francesco alla Delegazione della comunità ebraica di Roma, 11 ottobre 2013
“Ora inizia la verifica per l’Europa. Spazio di libertà vuol dire spazio per dirsi, ognuno o insieme, davanti a tutti. Ciascuno metta a disposizione di tutti la sua visione e il suo modo di vivere. Questa condivisione ci farà incontrare a partire dall’esperienza reale di ciascuno e non da stereotipi ideologici che rendono impossibile il dialogo. Come ha detto papa Francesco, «al principio del dialogo c’è l’incontro. Da esso si genera la prima conoscenza dell’altro. Se, infatti, si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare pregiudizi e falsità e si può iniziare a comprendere l’altro secondo una prospettiva nuova»”. Julián Carrón, Corriere della Sera del 13/02/2015
“Il libro di Giussani Il senso religioso mi ha ricordato molto un saggio di Rabbi Soloveitchik, in cui egli descrive la saggezza che ha appreso da sua madre: “Da lei imparai la cosa più importante della vita – avvertire la presenza dell’Onnipotente e la gentile pressione della Sua mano sulle mie fragili spalle”. Se mi si chiedesse perché sono credente, direi che lo sono in parte per storia familiare, in parte per ragioni teologiche, ma soprattutto perché in particolari momenti della mia vita ho avvertito, e sono ancora in grado di avvertire, Dio. Sono stato particolarmente colpito dal Capitolo 10, nel quale egli descrive l’esperienza di essere alla dipendenza e alla presenza di Dio, e commosso dall’esempio di quell’essere appena nato, che ha richiamato alla mia mente uno dei miei insegnamenti kabbalistici favoriti. Un bambino avverte ancora quel senso di dipendenza e affidamento sconfinato. Questo, per me, è l’insegnamento centrale del volume: il primato dell’esperienza elementare, l’immediato e originale impatto con la realtà, privato del bisogno esasperato di razionalizzare qualunque cosa. Sono grato perché il libro ha riportato alla mia memoria tutto questo.”
Rabbi Mark Goldfeder